
“Il cinema è uno dei tre linguaggi universali; gli altri due sono la matematica e la musica.” (Frank Capra)
“Il cinema è il modo più diretto per entrare in competizione con Dio.” (Federico Fellini)
“La televisione crea l’oblìo, il cinema ha sempre creato dei ricordi.” ( Jean-Luc Godard)
Il cinema è la forma d’arte che scaturisce dal sogno più affascinante dell’uomo, un sogno che ha percorso e narrato la storia del secolo passato come nessun’altra manifestazione del genio umano ha saputo fare. “La vera forma d’arte del novecento“, come affermava perentoriamente Federico Zeri ( un famosissimo critico d’arte del novecento). Quante emozioni, che tumulto di sentimenti, di pensieri, di azione, di commozione, di sogni, di incanto, di vita insomma, ha saputo narrare questo sogno chiamato cinema. Il cinema è il più sensazionale parco divertimenti mai concepito dalla fantasia umana e l’obiettivo delle pellicole quello di emozionare il pubblico sognante. Il cinema è stato proprio il campo in cui l’Italia, ferita e umiliata dalla Seconda Guerra Mondiale, ha miracolosamente raggiunto l’eccellenza grazie ai volti degli attori e delle attrici, insieme alle personalità dei più grandi registi e degli ispirati sceneggiatori, in un mix di genialità ed estro che ha glorificato la nostra povera nazione. Il Made in Italy è nato con il cinema del dopoguerra. Ecco quindi un personale, modestissimo, omaggio ai capolavori assoluti del cinema italiano, ai suoi generi, ai loro attori e ai loro autori: una storia frammentaria del cinema italiano e di tutto ciò che ha contribuito a renderlo grande e immortale. “Frammenti di cinema italiano” di prossima uscita, è proprio un omaggio a tutto questo, ed è scritto dal giovane (e sottoscritto) Domenico Palattella, al suo secondo libro “cinematografico”; non è un’opera scritta da cotanta critica specializzata, che spesso non ci ha azzeccato granchè, ma è analizzato secondo il punto di vista di un semplice e profano amante del grande cinema italiano e dei suoi leggendari protagonisti. Un’operazione di pura nostalgìa, di un mondo che non c’è più ma che si può rivivere attraverso le innumerevoli opere d’arte arrivate ai giorni nostri, quelle pellicole che hanno reso grande e immortale il nostro cinema. La storia frammentaria del cinema italiano, contenuta nel libro, è chiaramente personale e in parte parziale ( anche se ho cercato di essere il più imparziale possibile), ma vi assicuro sincera e appassionata, cercando quanto più possibile, in poco spazio di ricreare, appunto “frammenti” di cinema italiano. Che poi non sono altro che i saggi che trovate sul sito dell’Associazione cinematografica “La Dolce Vita”, e che poi in massima parte vanno a formare quella che è l’ossatura del libro di prossima uscita.

Se dovessimo quindi, mettere in evidenza due simboli su tutti del nostro cinema, uno femminile ed uno maschile, credo che la scelta, peraltro in mezzo ad una marea di “primus inter pares”, dovrebbe cadere sulla tenerezza candida e in fondo seducente della piccola-grande Giulietta Masina; e sul quel talento limpido, pigro, semplice ma anche sensuale dell’immortale Marcello Mastroianni. I due peraltro sono accomunati dall’essere in qualche modo vicini ad un altro grande del nostro cinema, Federico Fellini, che è, forse, il massimo regista italiano, vincitore di cinque premi Oscar, tra cui quello alla carriera, meritatissimo nel 1993. Lei ne è stata la compagna di vita, nonché moglie per oltre 50 anni; lui è stato il suo attore preferito, suo grande amico, e in fondo il suo “alter ego” cinematografico. Marcello e Giulietta vennero diretti da Federico Fellini, nel capolavoro “Ginger e Fred”, nel 1986, quasi il canto del cigno, di un vecchio modo di fare cinema, ancora efficace e molto struggente.

– Giulietta Masina
Tra le attrici italiane è quella che ha dato vita ai personaggi più difficili, più originali e più intensi del nostro cinema. Piccola di statura rispetto alle più avvenenti colleghe, fa valere le sue capacità e le sue doti recitative sfruttando uno straordinario talento, consistente in un’espressività ricca di sfumature, che sarà esaltato soprattutto dal marito Federico Fellini. Il loro fu il binomio artistico e umano più prolifico e affascinante della cultura italiana del novecento: un’alchimia rara tra un genio creativo e un’artista sublime. Si conoscono negli anni della guerra, quando Giulietta Masina porta alla radio un personaggio di Fellini, che si apprestava a diventare uno dei più importanti sceneggiatori della nascente corrente neorealista. Il matrimonio fu celebrato poco tempo dopo il fatale incontro. Dopo qualche comparsata, eccola protagonista della prima pellicola diretta da Fellini assieme ad Alberto Lattuada: “Luci del varietà”(1950), in cui si fa subito valere come interprete sensibile e dotata, esaltata dal personaggio della docile e tenera fidanzata tradita dal suo uomo ( un grandissimo Peppino De Filippo). E’ l’inizio di una cammino grandioso, in cui lavora con registi come Comencini, Rossellini, Eduardo De Filippo, trovando però le più importanti affermazioni personali con Federico Fellini, che le cuce addosso ruoli indimenticabili ( Gelsomina de “La strada”, e Cabiria de “Le notti di Cabiria”) negli anni ’50 come nella maturità. Fu un successo anche personale, in un’epoca in cui si affermavano solo maggiorate e bellezze da copertina. Il loro amore era fatto di tradimenti (“Tanto lui torna sempre da me” commentava lei) e di incomprensioni, ma era inossidabile, e straziante nel suo epilogo. Federico Fellini diceva: “Giulietta mi è parsa subito una misteriosa persona che richiamava una mia nostalgia di innocenza. Vi è una parte di incantesimi, magie, visioni, trasparenze, la cui chiave è Giulietta. Mi prende per mano e mi porta in zone dove da solo non sarei mai arrivato”. Non c’è da stupirsi se ad un poeta del genere Giulietta perdonasse tutto! E la serata in cui gli fu assegnato l’Oscar alla carriera, cinque mesi prima di morire, lo stesso regista ribadì a una platea commossa: “L’Oscar non appartiene a me, ma a Giulietta”. Si ammalarono praticamente insieme e, quando Fellini morì, lei inevitabilmente lo raggiunse pochi mesi dopo, nel 1994. Numerose, nella carriera di Giulietta, sono state le sue perle, e le sue interpretazioni sublimi. Raggiunse la notorietà a livello mondiale con il ruolo di Gelsomina nel film “La strada” (1954), dove recitò accanto ad Anthony Quinn e Richard Basehart, e poi con “Il bidone” (1955), con Broderick Crawford e ancora Basehart. Nel 1957 raggiunse probabilmente l’apice della carriera nel ruolo di Cabiria nel film “Le notti di Cabiria” (che aveva già affrontato in piccola misura nel primo film diretto dal marito, “Lo sceicco bianco” del 1951). Qui, Fellini porta la figura clownesca e innocente della moglie Giulietta Masina a diretto contatto con le brutture e le nefandezze dell’esistenza quotidiana: dall’accostamento nasce un film commovente e ironico, sorta di omaggio al cialtronesco mondo delle borgate romane, nel quale il regista tiene a sottolineare l’esistenza della Grazia cattolicamente intesa, “annunciata” da personaggi ai limiti del folklore e incarnata da un gruppo di giovani che “ridestano alla vita”( e al sorriso) Cabiria dopo l’inganno finale. In un ruolo a lei estremamente congeniale, quello di una povera e ingenua prostituta ingannata da un mascalzone, capace di superare il poeticismo della Gelsomina de “La strada” per toccare sublimemente le corde della tragedia, la Masina ottenne un’enorme popolarità e si aggiudicò la prestigiosissima “Palma d’Oro” al festival di Cannes, come miglior interprete femminile. Il premio che la issa definitivamente nell’olimpo delle grandi stelle, o dive, del cinema mondiale. Nel 1958 interpretò una commovente figura di donna in “Fortunella” per la regia di Eduardo De Filippo, con Alberto Sordi (parte drammatica del rigattiere), Carlo Dapporto e lo stesso Eduardo De Filippo. In quello stesso anno prese parte, anche, in una difficile, ma grande prova, al film “Nella città l’inferno”, di Renato Castellani. Un dramma carcerario in cui possiamo ammirare, insieme in coppia, forse le più grandi attrici della storia del cinema italiano ( che sul set si detestarono) Giulietta Masina e Anna Magnani. Poi Fellini la dirigerà ancora nel suo primo film a colori, “Giulietta degli spiriti” (1965) insieme a Mario Pisu e, vent’anni più tardi, nel malinconico “Ginger e Fred” (1985) proprio accanto all’amico Marcello Mastroianni, nella parte di due ex ballerini di tip-tap popolarissimi durante la guerra col nome d’arte preso a prestito dai celebri Fred Astaire e Ginger Rogers, invitati nel rutilante e magniloquente show televisivo “Ed ecco a voi”…, campionario di varia umanità mostrata come fenomeno da baraccone sacrificato alle esigenze dell’audience e interrotto in maniera ossessiva da spot pubblicitari. Per “Giulietta degli spiriti”, Giulietta Masina si aggiudicò il David di Donatello; invece per “Ginger e Fred”, vinse il Nastro d’argento, in entrambi i casi nella categoria “miglior attrice protagonista”, andando così ad integrare e consolidare una già eccezionale carriera artistica.

– Marcello Mastroianni
Il grande Marcello Mastroianni fu l’attore italiano più apprezzato e famoso fuori dai confini nazionali. Più di Sordi e di Gassman, più di Tognazzi e di Totò, è stato probabilmente il più grande attore del nostro cinema. La ragione di questo strepitoso successo si può ricercare nella sua versatilità e nella capacità di spaziare nei generi più disparati con una naturalezza disarmante. Per lui recitare era un gioco, un andare a divertirsi, venne nominato il “talento della semplicità”. Timido e riservato, fu però uno dei divi della “Dolce Vita” della Roma degli anni ’60, anzi forse il massimo divo, senza neanche impegnarsi troppo per diventarlo; di sicuro il simbolo, dato il grande successo proprio della “Dolce Vita” dell’amico Fellini, con il celeberrimo bagno nella fontana di Trevi, insieme alla giunonica Anita Ekberg, rimasto indelebilmente nella memoria collettiva del cinema mondiale, e diventato il simbolo di un’epoca, quella in cui Roma era soprannominata la “Hollywood d’europa”. E poi vi è una spontaneità incredibile nel ricreare personaggi che hanno scritto pagine indelebili nella storia del cinema italiano. Una carriera straordinaria: il sodalizio con Fellini, la grande intesa professionale con Sophia Loren, tre nomination all’Oscar, due Palme d’Oro al festival di Cannes, un Leone d’Oro al festival di Venezia, sette David di Donatello, otto Nastri d’argento, una miriade di altri premi e riconoscimenti vari e l’affetto immutato del pubblico che lo pianse con sincera commozione e dispiacere il giorno della sua scomparsa, avvenuta a Parigi nel dicembre del 1995. Fu però sepolto opportunamente nella sua Roma al Verano, accanto a tanti suoi colleghi e amici del palcoscenico. Si dovesse osare, creare una “top ten” dei suoi personaggi cinematografici più riusciti, in quasi 150 pellicole interpretate, di sicuro non potrebbero mancare i capolavori che seguono. Il barone Cefalù in “Divorzio all’italiana”(1961) e il confinato omosessuale di “Una giornata particolare”(1977), meritano il posto d’onore. E imprescindibili, ovviamente, sono i ruoli per il suo “alter ego” Federico Fellini ne “La dolce vita”(1960) e “Otto e mezzo”(1963) e, nella parte finale della loro carriera, il ballerino di “Ginger e Fred”(1986); indimenticabile resta anche il fotografo Tiberio de “I soliti ignoti”(1958), di Mario Monicelli, con il quale si ripete nel sottovalutato “I compagni”(1963); un altro film che merita una menzione speciale è “Che ora è?”(1989), in cui duetta magistralmente con Massimo Troisi, con la sapiente direzione di Ettore Scola. E come scordare poi, le interpretazioni memorabili in coppia con Sophia Loren, nel film a episodi “Ieri, oggi, domani”(1964) di Vittorio De Sica: irresistibile nell’ultimo episodio, nel ruolo del cliente bolognese vessato dal padre, e affascinato dalle curve della Loren. A completare questa divertente top ten dei dieci grandi personaggi cinematografici di Mastroianni, vi è il pilota de “La grande abbuffata”(1973), il capolavoro di Marco Ferreri, interpretato insieme a colleghi ed amici del calibro di Ugo Tognazzi, Philippe Noiret e Michel Piccoli.

– Federico Fellini
È considerato uno dei maggiori registi della storia del cinema, forse il più grande. Già vincitore di quattro premi Oscar al miglior film straniero, per la sua attività da cineasta gli è stato conferito nel 1993 l’Oscar alla carriera. Vincitore due volte del Festival di Mosca (1963 e 1987), ha inoltre ricevuto la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1960 e il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1985. Nell’arco di quasi quarant’anni – da “Luci del varietà” del 1950 a “La voce della luna” del 1990 – Fellini ha “ritratto” in decine di lungometraggi una piccola folla di personaggi memorabili. Definiva se stesso “un artigiano che non ha niente da dire, ma sa come dirlo”. Ha lasciato opere indimenticabili, ricche di satira ma anche velate di una sottile malinconia, caratterizzate da uno stile onirico e visionario. I titoli dei suoi più celebri film, La strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8½ e Amarcord – sono diventati dei topoi citati, in lingua originale, in tutto il mondo.

Domenico Palattella