
Una delle prerogative fondamentali del successo della commedia all’italiana, e più in generale, del cinema italiano nel suo complesso, è sempre stato quello di puntare sulla quantità. In questo senso si inserisce l’elemento della coralità, ovvero l’inserimento di tanti nomi di punta, ovvero di tanti attori di primo livello, tutti insieme all’interno delle varie commedie che si sono succedute nella storia del nostro cinema. Certo, questa prerogative nasce da ragioni meramente economiche, però poi si sviluppa come un vero elemento cardine della commedia all’italiana. Si diceva, “per mere ragioni economiche”, proprio perché l’idea del cinema corale nasce dai produttori, che ad un certo punto decidono di mettere insieme attori di primissimo livello per raddoppiare gli incassi. Nascono così pietre miliari del nostro cinema, ad esempio I soliti ignoti(1958), di Mario Monicelli, che non è altro che una commedia all’italiana chiaramente corale, perché sul set ci sono Vittorio Gassman, Marcello Mastroianni, Totò e altri caratteristi di alto livello. Nel secondo film della serie poi, L’audace colpo dei soliti ignoti(1959), viene inserito anche Nino Manfredi, a completare l’opera corale del regista toscano. E come i film di Monicelli, si potrebbero fare tantissimi altri esempi.

Arrivati a questo punto ci sono da inserire altri elementi atti a dimostrare come la coralità sia un elemento imprescindibile del nostro cinema. Bisogna dire che la coralità nasce, o meglio si afferma con la commedia all’italiana. Qualche piccolo sentore di coralità si avverte già dal cinema fascista degli anni ’30, ma questa è marginale nelle storie descritte nell’abulico cinema dei telefoni bianchi. La coralità in questo periodo è soltanto scenografica, decorativa, costruita, gerarchicamente ordinata, perciò finta. Negli anni ’50 invece la coralità si afferma, al di là delle ragioni economiche, come naturale evoluzione della commedia popolare. Il ricorso all’elemento della coralità si addentra nella commedia per raccontare un tema da più punti di vista, con attori che per caratteristiche, spesso sono totalmente diversi, e che hanno bisogno, in sede di sceneggiatura di amalgamare i diversi tipi di stile o di comicità. La coralità nacque anche perché, sono stati pochi gli attori, nella storia del cinema italiano, in grado di fare chiamata da soli, ossia di far scegliere un film per il proprio nome, e così si pensò che l’unione fa la forza. Ma un motivo del genere può anche essere valido per un film come Poveri ma belli, che poi risulta essere uno dei capolavori degli anni ’50, in cui i giovani protagonisti, Marisa Allasio, Renato Salvatori, Maurizio Arena, Lorella De Luca e Alessandra Panaro, sono ancora poco conosciuti, e che con il film conquistano il successo su scala nazionale. Viceversa per attori già affermati, lavorare in un film corale, vuol dire anche lavorare con vecchi amici e spesso vuol dire costituire sodalizi importanti. Si pensi a quello tra Totò e Peppino De Filippo, che interpretano insieme 16 film, a quello tra Fernandel e Gino Cervi che insieme interpretano 7 film; e poi Bud Spencer e Terence Hill; Franco Franchi e Ciccio Ingrassia; e più recentemente ai cinepanettoni, che fin dal primo film, ovvero Vacanze di Natale, del 1983, puntano fin da subito sulla commedia corale. D’altronde Carlo Vanzina, il regista dei classici cinepanettoni, è uno di quei registi che storicamente amano dirigere tanti attori sul set. E che la coralità sia stato un elemento che è tanto piaciuto al pubblico, lo dimostra anche un altro dato, ovvero che tutte le serie cinematografiche italiano, hanno questo concetto come base chiave del successo.

Vogliamo fare qualche esempio? Pane, amore e fantasia(1953), una delle prime grandi commedie all’italiana, dà vita ad altri tre seguiti, Pane, amore e gelosia(1954), Pane, amore e…(1955), Pane, amore e Andalusia(1958), il tutto dato anche il grande successo di pubblico. La storia, è chiaro, si basa sull’interpretazione memorabile di Vittorio De Sica, ma è anche tutta la squadra che gli gira intorno a costruire il successo della serie: dalla Bersagliera interpretata da Gina Lollobrigida ( primo e secondo film), alla levatrice Marisa Merlini (primo e secondo film); dalla governante Caramella interpretata da Tina Pica (primo, secondo e terzo film); alla pescivendola Sophia Loren (terzo film). I Don Camillo e Peppone, nati dalla penna di Giovannino Guareschi, acquistano successo e vita cinematografica, grazie alle facce del francese Fernandel e del bolognese Gino Cervi, insieme interpretano cinque film della serie, tra il 1952 e il 1965, più altri due film che non fanno parte della serie. La famiglia Passaguai(1951), capolavoro umoristico ideato, interpretato e diretto da Aldo Fabrizi, è una commedia corale, che dà vita ad altri due seguiti: La famiglia Passaguai fa fortuna(1952) e Papà diventa mamma(1953). Accanto a lui, c’è sempre Ave Ninchi, moglie cinematografica di Fabrizi per eccellenza, e poi Luigi Pavese, Peppino De Filippo e Tino Scotti nel primo film, Macario nel secondo, Paolo Stoppa nel terzo. Anche la serie dei Quattro monaci, dei Quattro moschettieri e dei Quattro tassisti, nasce con la volontà di puntare ad unire tanti nomi importanti sul set. Per il primo film della serie, ovvero I quattro monaci(1962), i produttori pensarono di unire quattro “poker d’assi della risata”, così vennero definiti Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi, Nino Taranto ed Erminio Macario, quando il film uscì in sala. Al film gli arrise un grande successo di pubblico, e allora a tempo di record venne tirato su l’immediato seguito, I quattro moschettieri, stavolta in un film in costume.

Per concludere il discorso sulle serie di successo che affondano il loro consenso nella commedia corale, bisogna senza dubbio nominare la saga di Amici miei, fondamentale nella storia del nostro cinema. Amici miei(1975) è un film epocale, diretto da Mario Monicelli, ma ideato da Pietro Germi, che non poté dirigerlo a causa della sua prematura scomparsa. La storia dei cinque amici di mezz’età e delle loro “zingarate”, spesso, molto spesso divertenti, sono avvolte da un pizzico di amarezza. Cinque maschere burlone indossate per dimenticare il vero volto di esistenze ordinarie, in cui sono la mediocrità e la quotidiana normalità a farla da padrone. Perfetti i cinque protagonisti: l’architetto Melandri di Gastone Moschin; il giornalista Perozzi di Philippe Noiret; il barista Necchi di Duilio Del Prete; il Sassaroli, chirurgo annoiato interpretato da Adolfo Celi; e il Conte Lello Mascetti di un formidabile Ugo Tognazzi. Se le scene memorabili si susseguono nella sfilze delle burle clamorose che organizzano i cinque amici, ce n’è una che si eleva sopra le altre, una che è entrata nella memoria collettiva: la “zingarata” degli schiaffi ai viaggiatori affacciati da un treno in partenza dalla stazione di Firenze, assolutamente memorabile! Uno dei punti più alti del nostro cinema per uno degli episodi più celebri dell’arte cinematografica italiana. I due seguiti, Amici miei atto II(1982) e Amici miei atto III(1985)in cui ritornano tutti i protagonisti, con Renzo Montagnani che sostituisce Duilio Del Prete, nei panni del barista Necchi, non fanno altro che confermare il clamoroso successo di pubblico e di critica, che questa serie si porta con sè.

Nel cinema italiano contemporaneo l’elemento corale continua a sopravvivere e a costituire l’ossatura fondamentale delle moderne commedie. Leonardo Pieraccioni, ad esempio, fin dall’esordio dei Laureati(1995), punta sull’elemento corale all’interno delle sue commedie, che poi sono delle favole dei buoni sentimenti. Lui è quasi sempre il protagonista unico, ma intorno a lui c’è una vera e propria squadra di interpreti e caratteristi, che a fasi alterne partecipano a quasi tutti i suoi film: Massimo Ceccherini, Alessandro Haber, Rocco Papaleo. Quest’ultimo dal suo esordio come regista Basilicata coast to coast(2010), ha costruito le basi del suo cinema d’autore, sull’elemento corale, tanto è vero che il secondo lungometraggio da lui diretto, ovvero Una piccola impresa meridionale(2013), parla di un gruppo familiare e di amici, che per ritrovare se stessi, si rifugia in un vecchio faro e decide così di ristrutturarlo. Come regista va citato anche Paolo Genovese, esperto cultore della coralità cinematografica, Tutta colpa di Freud(2014) e Perfetti sconosciuti(2016) sono i suoi esempi più compiuti. E questa ritrovata coralità è un bene per tutta la commedia all’italiana contemporanea. Rispetto a qualche decennio fa si registra un’evoluzione molto positiva, ovvero che la formula corale non è più relegata all’incasso natalizio. La coralità di grandi commedie come quelle di Sydney Sibilia, di Smetto quando voglio ( a proposito, anche questa è una saga), non fanno altro che confermare questa tendenza, ovvero che la coralità, è elemento insostituibile per fare un ottimo prodotto cinematografico. Da sempre, qui da noi, è così.

Domenico Palattella