Giallo, Thriller e Horror all’italiana

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“La ragazza che sapeva troppo”(1960), di Mario Bava è il primo thriller all’italiana libero da quei elementi, onirici, inverosimili e gotici dei film del brivido precedenti.

Nel fiorire dei generi e dei filoni, più o meno duraturi, nella gloriosa storia del cinema italiano, grande rilevanza assumono le categorie del thriller e dell’horror, che proprio in Italia hanno avuto, a partire dagli anni ’60, un notevole successo, protrattosi felicemente per almeno tre decenni. I registi italiani che si sono cimentati in queste produzioni sono stati fonte d’ispirazione per un’intera schiera di cineasti internazionali tra i quali si ricordano: Brian De Palma, Tim Burton e Quentin Tarantino. Grande impulso, inizialmente, al nuovo genere è arrivato dal direttore della fotografia Mario Bava, passato poi alla regia, che ha attuato un deciso presupposto per creare un vero horror di qualità, rivelandosi, al tempo stesso, un notevole narratore di immagini, colto e raffinato. Basilare per lo sviluppo del genere è il suo film d’esordio La maschera del demonio (1960), la cui trama prende spunto dal racconto Il Vij di Nikolaj Vasil’evič Gogol’, che tratteggia la figura del vampiro in maniera inconsueta e originale, in aperta opposizione a quella dell’iconografia tradizionale. La ricercata fotografia, gli innovati effetti speciali e il fascino misterioso dell’attrice Barbara Steele contribuiscono a creare un soggetto gotico molto personale, venendo più volte elogiato da molta critica inglese e francese. Lo stesso Mario Bava è alla base della nascita del giallo all’italiana, con caratteristiche diverse rispetto al giallo inteso come genere letterario o cinematografico. Il giallo all’italiana infatti è un genere che mescola atmosfere thriller e temi tipici del cinema horror e che non preclude derive slasher, tipiche dei film d’exploitation. Il film d’esordio, in tal senso, può essere ritenuto La ragazza che sapeva troppo interpretato da Valentina Cortese, John Saxon e Leticia Roman, la storia, macabra e lievemente ironica, narra di un personaggio contorto e spaventoso che semina orrore e morte per le strade di Roma: il film è considerato il primo del genere, quello che ha aperto la strada ad altri registi e pellicole simili. Sino ad allora infatti i film del brivido erano resi più onirici e inverosimili, grazie all’ausilio di ambientazioni gotiche o in costume, in modo da creare una sorta di distacco emotivo tra la vicenda e lo spettatore. Rimanendo sempre su Bava, nel 1964 esce Sei donne per l’assassino, in cui si delineano definitivamente quelli che saranno i tratti caratteristici del genere: l’assassino vestito con un impermeabile scuro, guanti e cappello, soggettive dell’assassino, scene dei delitti diversificate e particolarmente elaborate e cruente (celebre quella in cui il cui viso della vittima viene ripetutamente premuto contro una stufa incandescente), le musiche ossessive e anche un pizzico di nudità, tipica degli anni a venire.

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Il maestro italiano dell’horror, Mario Bava sul set di uno dei suoi tanti film.

Altro grande protagonista, precursore del genere giallo, thriller, horror, è Dario Argento, ideale continuatore di certe atmosfere baviane, che ha avuto il merito di trainare l’horror italiano verso il grande pubblico, riscontrando successo negli anni ’70 e ’80. La poesia macabra di Argento è resa tale da una sapiente miscela che varia dal thriller all’horror di natura fantastica, con lungometraggi che sono tuttora presi a modello sia dal punto di vista estetico che da quello narrativo. Pur avendo attinto da pellicole come La ragazza che sapeva troppo (1963) e Sei donne per l’assassino (1964) di Mario Bava, Argento, nelle sue opere migliori, ha saputo emanciparsi dal suo maestro grazie a un uso incalzante del montaggio in combinazione a colonne sonore rimaste negli annali (fondamentale la collaborazione con il gruppo musicale dei Goblin). Opere come L’uccello dalle piume di cristallo (1970) e Profondo rosso (1975), hanno imposto figure e maniere (killer con impermeabile nero, soggettive dell’assassino, telefonate misteriose etc..) ampiamente riprese da tutto il thriller italiano e internazionale. Un altro pioniere è l’artista Riccardo Freda, che con il gotico I vampiri (1956), diviene il primo regista italiano, dell’epoca del sonoro, a dirigere un film dal solido impianto horror, anche se ancora avvolto dal cliché classico del brivido, epoca pre-baviana. Altri suoi lungometraggi da segnalare sono L’orribile segreto del dr. Hichcock (1962) e Lo spettro (1963). Sempre negli anni ’60 si registrano la pellicole Il mulino delle donne di pietra (1960), di Giorgio Ferroni e Danza macabra (1964), di Antonio Margheriti, dove l’eleganza classica della messa in scena fonde il romanticismo macabro con temi sessuali morbosi e suggestivi.

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Dario Argento alla macchina da presa. E’ lui che prende in eredità l’insegnamento del maestro Mario Bava, e rende per la prima volta protagonista l’assassino e il suo risvolto psicologico.

Sul finire degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70 nasce un nuovo sotto-genere, il giallo erotico, nel quale vi è una maggiore attenzione per le parti erotiche della vicenda, definito dal regista Umberto Lenzi thriller dei quartieri alti. Lo stesso Lenzi firmerà la trilogia composta dai film Orgasmo (1969), Così dolce… così perversa (1969) e Paranoia (1970), in cui si mescolano erotismo, psicologia ed intrighi del mondo della nobiltà. Un altro noto regista di questo genere è Sergio Martino con i film Lo strano vizio della signora Wardh (1970), Tutti i colori del buio (1972) e Il tuo vizio è una stanza chiusa e solo io ne ho la chiave (1972). Arrivati a questo punto, c’è da notare come in questi anni, la rappresentazione formale e la narrazione delle pellicole di questo genere si infittiscono di delitti sempre più feroci e di forte impatto visivo: è il periodo di massima espressione del giallo all’italiana. E’ in questi anni che si ha un vero e proprio boom del genere horror, solo tra il 1971 ed il 1972 vennero girati e distribuiti nelle sale oltre trenta film appartenenti al filone, diretti da tutti i maggiori registi italiani del cinema di genere.

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La locandina originale del film “Il gatto a nove code”(1971), il capolavoro horror del maestro Dario Argento.

A conferma di ciò, tra il 1970 ed il 1972 escono tre film di Dario Argento che consacrano definitivamente questo genere: L’uccello dalle piume di cristallo, Il gatto a nove code e 4 mosche di velluto grigio. Utilizzando la stessa formula di Bava, ma rimodernandone tecnica e stile, il regista riscuote un enorme successo, soprattutto negli Stati Uniti, favorendo in patria (e non solo) un prolifico fenomeno d’imitazione, ovvero un nuovo filone di gialli dai connotati strettamente legati al modello argentiano. Rispetto ai precedenti film si privilegiò l’elaborata e coreografica messinscena dei delitti, con un maggior ricorso agli effetti speciali, fino ad allora ben poco utilizzati, e vere e proprie invenzioni che avrebbero dettato scuola nella specialità. Ben presto questo sotto-genere di film assume la denominazione di thrilling, dal verbo thrill (letteralmente rabbrividire di emozione), usato qui come sostantivo. Il thrilling assunse una connotazione sempre più violenta ed erotica, specializzandosi soprattutto nella descrizione della figura dell’assassino, non limitandosi al solo aspetto esteriore, ma sviscerando soprattutto la sua psiche. L’intenzione fu quella di far partecipare in qualche modo lo spettatore al delitto, tramite gli occhi stessi dell’omicida, utilizzando a tal fine una tecnica cinematografica abbastanza innovativa per l’epoca, detta soggettiva, in cui la posizione della macchina da presa coincideva con la stessa visuale di chi compie i delitti. L’assassino veniva solitamente rappresentato come uno psicopatico, mentre i protagonisti di questi film non erano il commissario intuitivo od il poliziotto senza paura di turno bensì persone comuni, invischiate loro malgrado negli eventi solo per puro caso. Ed è in questo contesto che la figura dell’omicida divenne protagonista ed icona assoluta del genere, assumendo una tale importanza nel racconto da far passare spesso in secondo piano anche la stessa trama del film. Nell’ambito di questi due generi, tuttavia, intorno agli anni ’70 si sviluppano una serie di film coevi, similari, con registi importanti che sovente, hanno ha reinventato diverse forme di cinema horror lasciando contributi di assoluto rilievo. Fra i tanti è possibile ricordare Lucio Fulci con le opere Una lucertola con la pelle di donna (1971), Non si sevizia un paperino (1972), Sette note in nero (1977), che gli fanno guadagnare dalla stampa francese gli appellativi di poeta del macabro e Godfather of gore. La critica italiana, viceversa, ha rivalutato le opere fulciane solo in tempi recenti, considerando molti suoi film veri e propri capisaldi del genere splatter.

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A metà anni ’70, il maestro Lucio Fulci, abbandona la commedia, per dedicarsi al genere horror, arricchendo quest’ultimo di elementi molto cruenti.

Altri film epocali, per capire il genere horror all’italiana, sono Profondo rossoLa casa dalle finestre che ridono, rispettivamente di Dario Argento e Pupi Avati. Nel 1975 Dario Argento realizza Profondo rosso (film che inizialmente avrebbe dovuto avere anch’esso un titolo dal richiamo faunistico ovvero La tigre dai denti a sciabola) che ottiene un grande successo, anche a livello internazionale, ed è considerato da molti critici e dagli stessi fan di questo genere cinematografico come uno dei titoli più riusciti; Profondo rosso è sicuramente, tra tutti i film del filone thrilling, quello più famoso e celebrato, trasmesso molto spesso in televisione ancora oggi. Perfino Pupi Avati si è cimentato nel corso della sua carriera con questo particolare genere cinematografico, che nel 1976 dirigerà uno dei più famosi gialli horror italiani, La casa dalle finestre che ridono, diventato nel corso degli anni un vero e proprio cult movie. L’idea vincente di Pupi Avati è trasformare la Bassa padana, assolata, sonnacchiosa e con tanti scheletri nascosti negli armadi, nel tratto ideale per un horror. E il difficile equilibrio tra il bozzetto grottesco e il patologico ha effetti davvero terrificanti. All’epoca venne notato favorevolmente dalla critica, ma solo in seguito divenne un dei film cult più celebrati di tale genere. Un film davvero unico nel contesto italiano e non solo.

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La locandina originale del film “La casa dalle finestre che ridono”(1975), del maestro Lucio Fulci.

Con l’arrivo degli anni ’80 e la nascita negli Stati Uniti di un nuovo modo di fare cinema thriller e horror, il giallo all’italiana ha quasi terminato di esistere. Poche sono state le pellicole che sono rimaste devote ai primi film del genere, messe da parte da una nuova evoluzione, che come tale ha innovato il genere, influenzando anche la produzione italiana.

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La locandina originale di “Profondo rosso”(1975), di Dario Argento, il film horror più famoso della storia del cinema italiano. Straordinaria colonna sonora e grande successo al botteghino.

Domenico Palattella

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