Le locandine cinematografiche dei più bei film degli anni ’60 (375 film)

Commedia all’italiana di costume su un’Italia pre-divorzio e sulla bigamìa del maschio latino. Il protagonista, impersonato efficacemente da Ugo Tognazzi, arriva ad essere sposato in contemporanea con quattro donne, e gestire troppi matrimoni e altrettante identità diventa difficile. Trama inusuale per l’epoca, per un film curioso e diverso.

Un cult-trash, di grande successo, come “instant movie” sul presentatore di “Canzonissima 1968”: il grande Walter Chiari. Nel film, inoltre sono presenti le esibizioni canore dei più acclamati cantanti dell’epoca (Celentano, Pavone, Pravo, Solo, Ranieri, i Nomadi, ecc. ecc.) in pieno stile musicarello, che fanno da contorno ad un mega-spot di e su Walter Chiari, il chè ci dà la misura del suo strepitoso successo all’epoca. Rivisto oggi, il film può essere letto anche come involontaria riflessione sui mass-media dell’Italia pre-68. Protagonista femminile, al fianco di Walter Chiari, la giovanissima Paola Quattrini, con la quale, manco a dirlo, il grande Walterone ebbe un breve flirt.

Commedia spesso sopra le righe, bruciata alla brava per offrire pretesti agli attori che ne profittano fin troppo, ma con alcune scene azzeccate ed un ottimo cast. “…soffrì molto di essere girato in un paese assai disorganizzato (Argentina). Le cose non funzionavano, andavamo tutti un pò di fretta…a rivederlo guadagna…aveva una carica di volgarità e di cattiveria umoristica genuina…Avevamo un pò perso la misura. Ma il film non era stupido” (V. Gassman). Nel cast Vittorio Gassman, Amedeo Nazzari, Silvana Pampanini e Nino Manfredi (il migliore della compagnia).

In un bel bianco e nero con sfumature color cenere, su scenari degradati di una Milano fuori dai luoghi comuni, il film è un amaro “Amici miei” che però vira al dramma anzichè alla nostalgia. La cronaca di una nottata da “Vitelloni” fuori tempo massimo, con una unità di tempo e di luogo che sottolinea l’angoscioso crescendo del film, fino ad un finale catartico e rivelatore. “Il miracolo è finito”, annuncia un personaggio; il regista Damiano Damiani trova il tono giusto per raccontare la borghesia degli anni ’60: impietoso, senza sconti, coraggioso nel descrivere voglie basse. Con il pathos che si concentra nella figura del bigamo Cesarino, cialtrone generoso, unico disinteressato, magistralmente interpretato da Walter Chiari, che ha quì l’occasione di una grande interpretazione da attore maturo, e non la sbaglia. Anche la critica di allora lodò la convincente interpretazione di Walter Chiari: addirittura complimenti arrivarono dal grande scrittore Alberto Moravia. Poco visto all’epoca, merita una attenta rivalutazione. Una delle migliori commedie all’italiana in assoluto.

Un film volutamente sgradevole e amaro sullo sfruttamento e l’emarginazione come fondamento dei rapporti umani, dove la rappresentazione della mostruosità morale di Tognazzi e di quella fisica della Girardot sono solo il prodotto della presunta normalità delle convenzioni sociali. Uno dei più lucidi film del regista Marco Ferreri sulla mistificazione del rapporto tra i sessi che all’epoca scatenò violente reazioni della censura democristiana, e quindi filo governativa.

Poker d’assi della risata che appartengono alla stessa generazione: Macario, Peppino De Filippo, Aldo Fabrizi e Nino Taranto. Il regista Carlo Ludovico Bragaglia dirige con la consueta competenza e gestisce al meglio i tempi comici e la compresenza insieme, dei quattro leoni del palcoscenico e del cinema italiano, che invece di alternarsi davanti alla macchina da presa vivono le loro avventure perennemente insieme. Una bella lezione di misura e di collaborazione comica tra quattro assi del cinema italiano, i quali erano anche molto amici. Grande successo di pubblico, con due seguiti.

Il film esce puntuale nelle sale nel 1968, sull’onda del successo dell’omonima canzone cantata da Rocky Roberts. Il film racconta delle vacanze al mare di un gruppo di giovani e meno giovani. Un cast folto e ben assortito, dai giovani Marisa Sannìa e Rocky Roberts alle stelle come Franchi & Ingrassia e Nino Taranto, l’ultimo dei quali presenza fissa di quasi tutti i musicarelli.

Il tema dell’incoscienza,o della diversa coscienza,proletaria è il centro del secondo film di Pasolini dove il regista nobilita i suoi personaggi con richiami alla pittura rinascimentale ( il “Cristo morto” del Mantegna), e tocca vertici di pathos senza versare una lacrima: Mamma Roma rappresenta la femminilità dolente, ma indistruttibile. Quella della Magnani è una delle migliori interpretazioni della sua carriera già stratosferica, e questo è tutto dire! Un film da ricordare!

In quello che è forse il più bel ruolo di tutta la sua carriera, Walter Chiari rende indimenticabile una figura paterna che gli somiglierà parecchio (anni dopo) nella sua vita reale e sfodera un’interpretazione da applausi. Un film quasi magico “Il giovedì”, crea uno di quei sorprendenti cortocircuiti tra vita e arte che si annidano a volte nella biografia dei grandi attori. Non a caso sul set nacque tra Walter e il piccolo attore del film, Roberto Ciccolini, un rapporto di grande affetto, tanto che il ragazzino non voleva più staccarsi da lui a fine riprese. Questo film del maestro Dino Risi è un dolce e commovente ritratto di famiglia anomalo degli anni ’60, con particolare affetto per il protagonista cui, non a caso, ha dato il proprio nome. Smessi i toni forti de “Il sorpasso” e il grottesco de “I mostri” Risi procede per piccole notazioni, sensibili e affettuose, sfiorando appena il sentimentalismo, puntando al sorriso malinconico. “Il giovedì” è un film struggente, che dopo più di 50 anni, risulta ancora fresco e attuale. La pellicola è forse tra le 10 commedie all’italiana più belle di tutti i tempi, come classe interpretativa di un Walter Chiari favoloso, pulizia scenica e registica impeccabile, in grado di descrivere alla perfezione uno spaccato realisticamente meraviglioso dell’Italia degli anni ’60. Un film sublime!

“Affermano i matematici che la figura fondamentale nella geometria, come nei rapporti tra i due sessi è il triangolo, l’eterno triangolo”. Così si apre il film di Marino Girolami, spassoso, esplicito e onesto. Seguono cinque episodi legati dal comune denominatore dell’evasione matrimoniale e del tradimento, compiuto o solo tentato. I migliori episodi sono il primo e l’ultimo. Il primo, quello di Chiari, strepitoso nel ruolo di un bagnino che si finge gay per respingere le avances delle clienti, e che proprio per questo è scelto come accompagnatore da una moglie tradita. Uno spasso vederlo resistere, nella finzione, finchè può al pressante corteggiamento della bella Grazia Maria Spina, stile Marilyn Monroe a Tony Curtis nel film “A qualcuno piace caldo”. Ovviamente alla fine cederà. Ma il divertimento maggiore è nell’episodio con Raimondo Vianello e Sandra Mondaini: si ride con classe dalla prima all’ultima scena.

Discontinuo, ma divertente, film a episodi che mescola episodi più barzellettistici, con insoliti ritratti di donne non più giovanissime, nei quali una diffusa malinconìa contrasta con il tono scanzonato cui aspira il film. Un piccolo omaggio alla “donna che non disarma e che vince ancora la sua battaglia contro il tempo che avanza e la giovinezza che sfugge”. Le donne, tutte non più giovanissime: Didi Perego, Ave Ninchi, Franca Marzi, Gloria Paul, Lina Volonghi. Gli uomini: Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Enio Girolami, Raimondo Vianello e Walter Chiari. Soprattutto Walter diverte nel suo episodio, in cui recita in dialetto veneziano, sulla spiaggia di Ostia, e sostiene un lungo, fantastico e divertente monologo comico.

Seguito del “Medico della mutua”, il film ripercorre lo spunto di critica sociale del suo predecessore. I criteri di conduzione di certe cliniche private offrono al regista Luciano Salce lo spunto per una seconda farsa satirica di realistica confezione e torva efficacia. Lo strepitoso successo di pubblico del primo film viene ampiamente ripetuto. Sordi aggiunge alla sua collezione, l’ennesima riuscitissima maschera dell’italiano medio in cui si era specializzato, ed in cui era il numero uno: ancora una splendida interpretazione.

Ultimo di un trittico di tre film, “Se non avessi più te” bissa il successo dei pre-quel ed è uno dei maggiori incassi della stagione 1966. La notorietà nazional-popolare della coppia Morandi-Efrikian e degli altri interpreti, Nino Taranto, Raffaele Pisu, Dolores Palumbo, Gino Bramieri, sale alle stelle. Su tutti, comunque, Nino Taranto, nei panni del maresciallo dell’esercito Todisco, burbero ma dal cuore d’oro: il vero protagonista della serie.

Gustosa commedia degli equivoci molto divertente ambientata ad Amalfi. Il protagonista Adriano Celentano, si prende gustosamente in giro, in un doppio ruolo, mentre canta le sue canzoni più famose. Co-protagonisti i grandi Macario e Nino Taranto, soprattutto il primo utilizzato splendidamente nella parte del manager del cantante.

Traendo spunto da un fatto di cronaca (un certo vigile Mellone aveva comminato una multa al sindaco di Roma), il regista Luigi Zampa racconta, in puro stile da commedia all’italiana, la metamorfosi di un cretino che la divisa trasforma in un prepotente, ed una certa opinione pubblica in un eroe. Il film, rischiando di strabordare, regge grazie alla solita ,riuscita e divertente interpretazione di Sordi mattatore; e a un De Sica perfetto nel dipingere il sindaco, cialtrone e pomposo al punto giusto. Nel cast anche il grande Mario Riva, al suo ultimo film, dopo il terribile incidente all’Arena di Verona che gli costò la vita.

Sospeso tra mito e storia, il film è il capolavoro di Luchino Visconti, il quale racconta la città di Milano vista dagli occhi di poveri emigranti meridionali (gelida, ostile, respingente) e ne fa il teatro di passioni irrefrenabili e arcaiche, tornando ancora una volta sul tema portante della sua cinematografia: la deflagrazione dell’istituto familiare. Cast tutto eccellente: Alain Delon, Renato Salvatori, Annie Girardot, Katina Paxinou.

“Italian secret service”, del 1967, è un divertente incrocio tra commedia all’italiana e parodia della spy story americane. E’ il momento migliore della carriera di Nino Manfredi, che addirittura nel 1968 si aggiudica due David di Donatello ex-aecquo sia per “Italian secret service” che per “Il padre di famiglia”. Caso più unico che raro nella storia della cinematografia mondiale: un ex-aecquo con se stesso. Ciò sta a significare che le sue interpretazioni, ormai, sono tutte di enorme spessore ed è forse l’attore più richiesto del panorama italiano, alle soglie degli anni ’70.

Aiutato da due grandissimi attori come Marcello Mastroianni e Jeanne Moreau, il regista Michelangelo Antonioni descrive una condizione di disagio esistenziale di una coppia e l’ambienta dentro uno spazio che schiaccia l’individuo con il suo caos tecnologico e neocapitalistico, finendo per raccontare le vaghezze e le ambiguità di uno “sconcerto esistenziale” che si trasforma in coscienza critica. Orso d’oro al Festival di Berlino.

Classico film di ambientazione turistico-balneare infarcito di grandi attori e di sketch molto divertenti. Stavolta a far da sfondo alla trama è la stupenda isola di Ischia. Il solito intreccio pretestuoso, ma divertente, per inanelare una serie di gag dallo spirito vernacolare e disincantato. Il film, comunque, diverte con gusto, merito di un cast ben assortito: da un abbronzatissimo Walter Chiari, il quale ha varie scene a letto con la bellissima Hèléne Chanel e con la risoluta Didi Perego; all’esordio cinematografico di Ric e Gian; e soprattutto alla presenza del grande Peppino De Filippo, che con la sua classe interpretativa senza eguali e grazie alla sua enorme esperienza, tiene le fila del tutto, e rende l’operazione-film molto riuscita e di ottimo gusto.

Il regista Antonio Pietrangeli dà spessore alla classica pochade francese di Fernard Crommelynck, da cui è tratto il film, con spunti di satira sociale e di umorismo agro. Grande successo di pubblico, anche se effettivamente un pò troppo lungo ( 124 min.): ma è notevole come la regia cerchi sempre nuove soluzioni narrative e stilistiche, onde evitare i tempi morti di un film eccessivamente lungo. Comunque, un ottima e gustosa commedia all’italiana. Ugo Tognazzi e Claudia Cardinale sono bravissimi.

Girato in contemporanea con “Scandali al mare”, ha lo stesso identico cast del film precedente, compresa la presenza importante del grande Carlo Dapporto, nel suo ritorno al cinema dopo qualche anno di assenza. Ovviamente il primo nome in locandina è il suo: classe divina! Marino Girolami nei suoi piacevoli film ad episodi, riusciva sempre a piazzare un grosso nome in grado di attirare un pubblico sempre più numeroso in sala: assi da novanta come Walter Chiari o Carlo Dapporto in due film, o Aldo Fabrizi o addirittura Totò. Completano il cast Sandra Mondaini, Valeria Fabrizi e il sempre divertente e trascinante Mario Carotenuto.

La protagonista del film è Daniela Rocca, bravissima in un insolito, ma riuscito ritratto di donna che negli anni del boom, contrasta con il perdurante maschilismo e conserva la propria indipendenza. Una commedia amara che procede per mezzitoni e riflette sulle contraddizioni dell’Italia del “boom” economico rinunciando alle tinte forti di molti film coevi. In un bel bianco e nero, il regista Puccini sa costruire una coinvolgente atmosfera e sa dirigere gli attori, tra i quali un Walter Chiari più misurato e intenso del solito, nella parte di co-protagonista del film.

Straordinario one man show di un ora e mezza, parodia di “Rocco e i suoi fratelli”, un piccolo grande capolavoro comico di Walter Chiari, qui scatenato mattatore della scena, in un triplo ruolo, che per una volta, conquista anche la critica dell’epoca. Grosso successo al botteghino. Si ride con classe.

Una farsa improbabile, ma divertente, grazie alla vervè della coppia Tognazzi-Vianello quì al loro meglio, grazie ad una regia che concede ampio spazio alle loro improvvisazioni sempre esilaranti ed efficaci. Il pretesto delle Olimpiadi è utilizzato perchè il film è ambientato durante le Olimpiadi estive di Roma ’60, proprio nel settembre di quell’anno, in concomitanza con il più grande avvenimento sportivo del mondo.

“Palma d’oro” al festival di Cannes, il capolavoro di Pietro Germi, è un impietoso ritratto della provincia veneta, raccontato con la crudeltà del moralista che non ha tenerezze per nessuno. Un ritratto spietato ma sostanzialmente veritiero delle ipocrisie morali e del perbenismo veneto, e più in generale del settentrione tutto. Il cast regge il confronto con l’apparato messo su dagli sceneggiatori: Alberto Lionello, Gastone Moschin e Virna Lisi sono assolutamente monumentali.

Esordio alla regia di Maurizio Arena con una storia in chiara sintonia con le sue origini popolaresche, di cui rivendica orgogliosamente simpatia e sincerità ( che il mondo dei nobili non possiede). E il film rende bene in una serie di macchiette divertenti ed efficaci, quasi un catalogo delle qualità del protagonista: spirito di gruppo, abilità da centauro, seduttore irresistibile, con l’aggiunta di una curiosissima imitazione di Charlot.

Commedia turistico-sentimentale, in co-produzione americana e italiana, infarcita di panorami da cartolina (di Napoli e di Capri) e di luoghi comuni sulla solarità e sull’arte di arrangiarsi dei napoletani. Ottimo affiatamento tra il divo americano Clark Gable (al suo penultimo film) e la nostra Sophia Loren. Strepitosa caratterizzazione di Vittorio De Sica, nei panni dell’avvocato, principe del foro di Napoli.

Seconda versione cinematografica della celebre commedia omonima di Eduardo De Filippo, dopo quella del 1954. Seppur inusuale,, la curiosa coppia Gassman-Loren è efficace e rendono godibile e gustosa la visione del film. Il primo con la sua energica carica vitale e la seconda con il suo enorme fascino.

Il film illustra i dieci comandamenti della Chiesa- introdotti da un preambolo narrato dal diavolo in persona- raggruppandoli in sette episodi: beffardo e irriverente ma discontinuo nella riuscita, si regge soprattutto sulla smagliante recitazione degli attori. Michel Simon, Alain Delon, Fernandel e Jean Claude Brialy, sono i mattatori della pellicola.

Vagamente ispirato ad una storia vera, quella del caso Canella-Bruneri, celebre negli anni ’20, il film, seppur di grana grossa, scorre via frizzante. Grazie ad un Totò in forma che ha una grande spalla in Nino Taranto e inietta nella farsa una dose di malinconìa. Su tutti però spicca Macario, strepitoso nell’interpretare il pazzo del manicomio, con una grazia sublime. Un intervento da antologia della risata e con tempi comici perfetti.

Un cast di lusso per un film divertente e stravagante, che narra di una gara aerea all’inizio del ‘900, da una parte all’altra della Manica. Il cast internazionale è zeppo di nomi di lusso: Alberto Sordi, Stuart Withman, Sarah Miles, James Fox, Gert Frobe e Terry-Thomas. Diretto da Ken Annakin. Grosso successo internazionale, come prevedibile.

L’idea di questo film è costruire una versione moderna del mito di Jekyll e Hyde nell’Italia del miracolo economico dove ancora sembra possibile imbastire una bonaria caricatura del perbenismo borghese e ridere delle distinzioni di ceto e di classe sociale. Pensata come veicolo cinematografico per la coppia Tognazzi-Vianello che sul piccolo schermo stava riscuotendo eccezionale successo, e rinforzata dalla presenza di Abbe Lane, altra popolare star dei varietà del sabato televisivo, la vicenda si perde rapidamente in quella facile comicità che al tempo lasciava perplessi i benpensanti, sgomenti i critici di estrazione cattolica, ma appagato il grosso pubblico ed oggi ampiamente rivalutato, come tutto, o quasi tutto il cinema di allora.

Spiritosa e fresca commedia degli equivoci, una pochade alla francese, con tanto di amanti nascosti nell’armadio. Deliziosi i duetti tra i due fratelli Carotenuto (Mario e Memmo), gioiellini di comicità mai volgare e di scavo psicologico nell’immaginario provinciale. Brava anche Sylva Koscina, ottima attrice ed una delle donne più desiderate dell’epoca. Da antologia Mario Carotenuto che declama “La pioggia nel pineto” quando la Koscina, per respingere le sue pressanti avance, gli chiede “un pò di poesia”.

Otto episodi senza titolo, più che sulle donne, su vizi e miserie del maschio italiano in amore. Il vero filo conduttore è la maschera del prim’attore: “A tutto Gassman” era lo strillo sui manifesti. Un film generoso e fresco, a tratti provocatorio ed un po spinto, che ottenne grande successo di pubblico. Nell’episodio in cui appare, Walter Chiari nel ruolo del ricco, tutto in bianco, con un’eleganza naturale impareggiabile, dà un piccolo saggio di bravura che strappa l’applauso e soprattutto la scena a Gassman, in soli 10-15 minuti.

Il film è uno dei migliori Manfredi di sempre, perfetto nel tratteggiare, in maniera composta ed efficace, il ritratto di un padre di famiglia dell’Italia del boom, alle prese con tutte le problematiche sociali e lavorative del periodo. Un piccolo gioiello diretto dal regista Nanni Loy. Perfetto anche Tognazzi nel ruolo macchiettistico dell’anarchico Romeo, ruolo affidato in un primo tempo a Totò, morto dopo il primo giorno di riprese. La moglie di Nino Manfredi è interpretata dalla belle e brava Leslie Caron.

Ottimo Lando Buzzanca in una commedia amara e ironica che aggiorna e recupera l’amarezza e la presa di posizione moralistica dall’omonimo romanzo di Vitaliano Brancati. Diretto dal maestro Alberto Lattuada è il film che per primo lancia la stella di Lando Buzzanca tra i grandi del nostro cinema, in quel genere di commedia all’italiana erotica, che si badi bene, non è ancora la farsa pecoreccia della fine degli anni ’70, è soltanto un sottogenere della commedia all’italiana in cui si specializzerà con classe e successo l’attore siciliano.

Dichiarata e irriverente parodia dei “Sette uomini d’oro”, di cui ricalca sia il meccanismo del furto con finto cantiere stradale sia la beffa finale. Cast ricco e molto valido: Vianello, Capannelle, Billi, Fangareggi, Memmo Carotenuto, Ignazio Leone e Carlo Taranto. La presenza femminile è Magda Konopka. Spicca in partecipazione straordinaria ALdo Fabrizi, perfetto nei panni del prete: quando la classe non è acqua, anche se gli anni passano!

Ritorna inalterato il quartetto di attori, dopo il successo straordinario del film “I quattro monaci”, con una farsa sopraffina sulla falsariga di quella precedente, ma ispirata alla celebre opera di Dumas. In verità il quarto del titolo è Carlo Croccolo e non più Peppino De Filippo, relegato in una partecipazione straordinaria di grande valore nei panni del cardinale Richelieu, quindi separato dal resto della banda. Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Macario e Carlo Croccolo sfoderano un ottimo gioco di squadra e divertono dalla prima all’ultima scena, mentre Peppino tratteggia un Richelieu esilarante e molto ben riuscito. Continua il successo al botteghino, anche se in calo rispetto al precedente film.

Prodotto da De Laurentis, resta uno dei film a episodi più interessanti e riusciti dell’epoca, secondo monumento alla grande Silvana Mangano dopo “La mia signora”: è isterica ed elegante nel primo episodio, divertente nel secondo, bamboleggiante e stralunata nel terzo, trascurabile nel quarto e fellineggiante, nel senso di sognatrice, nel quinto e ultimo episodio. Un’attrice fantastica che riesce a ridurre al ruolo di spalle le illustri stelle che la accompagnano nei vari episodi: Massimo Girotti, Alberto Sordi, Totò e Clint Eastwood. I cinque episodi, inoltre, sono diretti da cinque registi differenti: Visconti, Bolognini, Pasolini , Rossi e De Sica.

Nella società del futuro l’aggressività viene sfogata con la caccia all’uomo, ripresa dalla tv in diretta. La vittima predestinata di Ursula Andress è il pacioso Mastroianni, ma finirà con l’innamorarsene. La sceneggiatura, cui ha collaborato anche Ennio Flaiano, rende bene lo spirito del brillante omonimo racconto di Robert Sheckley. Il regista Elio Petri ha vinto la rischiosa scommessa, firmando un curioso ed affascinante film, mescolando western, cinema di spionaggio e leggera commedia romanesca. Da vedere, per lo straordinario duetto tra la Andress e Mastroianni, e per la confezione scenica fresca ed intrigante.

Lunghissima commedia bellica, ambientata nel Piemonte dell’occupazione nazi-fascista, il film è abbastanza divertente grazie anche ad un cast variegato e di talento. Se come protagonisti ci sono Anthony Queen e Anna Magnani, nelle parti di co-protagonisti vi è la presenza di attori del calibro di Virna Lisi, Hardy Kruger; ed in regime di partecipazione straordinaria anche di Renato Rascel.

Secondo di un trittico di tre film, “Non son degno di te” bissa il successo del pre-quel ed è uno dei maggiori incassi della stagione 1965. La notorietà nazional-popolare della coppia Morandi-Efrikian e degli altri interpreti, Nino Taranto, Raffaele Pisu, Dolores Palumbo, Gino Bramieri, Vittorio Congia, sale alle stelle. Su tutti, comunque, Nino Taranto, nei panni del maresciallo dell’esercito Todisco, burbero ma dal cuore d’oro: il vero protagonista della serie.

Quattro episodi e un prologo per un assolo perfetto di Manfredi, che infatti vincerà il “nastro d’argento” come miglior attore protagonista della stagione 1966, proprio per l’interpretazione di questa pellicola. Un tentativo riuscito di nobilitare la commedia all’italiana con intenti pedagogici filo-femministi, cui la regia rende al meglio.

Primo di un trittico di tre film, “In ginocchio da te” sbanca al botteghino, ed è uno dei maggiori incassi della stagione 1964. La notorietà nazional-popolare della coppia Morandi-Efrikian e degli altri interpreti, Nino Taranto, Raffaele Pisu, Dolores Palumbo, Gino Bramieri, Vittorio Congia, sale alle stelle. Su tutti, comunque, Nino Taranto, nei panni del maresciallo dell’esercito Todisco, burbero ma dal cuore d’oro: il vero protagonista della serie.

Divertente commedia turistico-sentimentale, stavolta sulle coste siciliane di Taormina, con qualche spunto riuscito di critica di costume, girato con garbo da un onesto mestierante come Giorgio Bianchi. Il cast è ancora una volta extralusso: da un ottimo Gino Cervi, alla coppia Chiari-Tognazzi molto ben affiatata, alla meravigliosa Koscina, che si spoglia e fa intuire un dècolète mozzafiato. Le scene più divertenti giocano sull’equivoco di un rapporto gay tra Tognazzi e Chiari, sempre sorpresi in atteggiamenti equivoci dal padre del primo, interpretato spassosamente da Gino Cervi.

Di ottimo livello, il primo film di Tognazzi regista è tutt’altro che banale; e ritrae con precisione e amorale divertimento un’Italietta dove tutti i mezzi sono leciti per ottenere il benessere, e nessuno si redime. Curiose alcune scelte registiche: l’inizio è senza dialoghi e tutto retto da gag visive, gli sviluppi sono da pochade francese, il doppio finale onirico riserva una sorpresa. Tognazzi, poi esegue le singole sequenze con perizia di stile, senza venir meno ad una sana cattiveria.

Il film, facente parte del genere delle commedie popolari turistiche, molto in voga all’epoca, è diviso in tanti piccoli episodi, con ovviamente a fare da filo conduttore la nota fontana del Bernini. Se dal lato comico vi sono Carotenuto e Croccolo, dal lato musicale si staglia potente la voce di Claudio Villa, a tener le redini del film.

Adattamento cinematografico di una vecchia commedia teatrale con un nutrito cast di caratteristi. L’accrocchio familiare tra l’accento lombardo-veneto di Chiari e il ligure di Gilberto Govi, in un film ambientato a Napoli, risulta bizzarro, ma Walter ( in forma fisica eccellente nelle scene in barca) è molto bravo nel distillare disagio dietro al paravento perbenista del personaggio. La sua interpretazione dà spessore ad un melò altrimenti piatto. Nel cast anche Carlo Campanini, spalla di lusso di Walter Chiari in tanti suoi film.

Strepitoso successo di pubblico (2 miliardi di incassi) per il kolossal in costume di Luigi Magni, il celeberrimo “Nell’anno del signore”(1969). In un cast a dir poco eccelso, Sordi, Tognazzi, la Cardinale, Salerno, si staglia l’interpretazione del vero protagonista del film, Nino Manfredi. Sublime nel tratteggiare Pasquino, il ciabattino, lo storico autore di invettive contro il Papa, nella Roma papalina. La splendida interpretazione gli valse sia in “nastro d’argento” che il “david di donatello” come miglior attore protagonista della stagione 1970.

Straordinario affresco dell’Italia del dopoguerra e della sua democrazia, dagli entusiasmi della ricostruzione alla rapida involuzione. Davvero eccezionale la prova di Alberto Sordi, eroe positivo ma raccontato vistosamente in chiave grottesca. Non è azzardato dire, che forse è il suo miglior film. Capolavoro!!!

L’unico film al mondo capace di segnare un’epoca storica sia antecedente che posteriormente alla sua uscita nelle sale, “La Dolce Vita” è stato un fenomeno epocale, tanto che il proprio titolo è diventato la denominazione di un’epoca della storia italiana: quella del “boom economico” e del benessere raggiunto dopo gli orribili anni della guerra. E’ il simbolo dell’Italia che rinasce, del cinema italiano che è il primo al mondo, il simbolo di Roma che è diventata la capitale del cinema mondiale, la cosiddetta “Hollywood sul Tevere”. E così, Federico Fellini, Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, sono un pò diventati i massimi simboli di questa epoca, un momento unico ed irripetibile. Palma d’oro al festival di Cannes e riconoscimenti vari in tutto il mondo.

Sequel del film “Nessuno mi può giudicare”, il film è uno dei campioni di incassi della stagione 1966/67; e oltre a Caterina Caselli che ha portato al successo le due omonime canzoni, annovera nel cast grandi nomi come Nino Taranto, Gino Bramieri, Clelia Matanìa e Laura Efrikian. Musicarello in piena regola!

Sei anni dopo “Il mantenuto”, Tognazzi tenta nuovamente la regia adattando il bel racconto “Sette piani” di Dino Buzzati. Le ambizioni di denuncia sociale contro la società dei consumi e la mercificazione della scienza, presenti nella grottesca metafora di Buzzati, trovano un’adeguata realizzazione nel film, anche se si poteva osare di più. Ottima pulizia scenica. Tognazzi si circondò di parenti e amici, tra cui la moglie Franca Bettoja e il regista Marco Ferreri.

Il film diretto da Lucio Fulci è una classica e spumeggiante commedia brillante e leggerissima, tutta basata sul gioco dell’equivoco. Non è una parodia in senso stretto di opere altrui, come spesso accade nella produzione di Franco e Ciccio. Piuttosto, vengono presi a prestito elementi di più generi o filoni cinematografici e trasposti in chiave evidentemente comica. Sessantesimo film della coppia e secondo dei nove loro lungometraggi usciti nel 1967, la pellicola incassa benissimo al botteghino e conferma la celebre e popolare coppia sicula ai vertici del cinema italiano dell’epoca.

Dal celebre romanzo omonimo di Tomasi di Lampedusa, splendida e fastosa illustrazione del passaggio della Sicilia dai Borboni ai sabaudi e della conciliazione tra due mondi affinchè “tutto cambi perchè nulla cambi”. E’ un film sostenuto dalla pietà per un passato irripetibile che ha il suo culmine nella scena del ballo, lunga sequenza che richiese 36 giorni di riprese. Il regista Luchino Visconti non sbaglia nulla nella ricostruzione storica. Abile uso degli spazi, belle scene di massa e splendida fotografia di Giuseppe Rotunno. Impeccabile la direzione degli attori, tutti perfettamente calati nella parte: Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa ed un giovanissimo Mario Girotti non ancora Terence Hill. Palma d’oro a Cannes nel 1963. Ottimi gli incassi al botteghino, ma che non riuscirono a coprire, però, la cifra enorme spesa per la sua realizzazione, con più di 20.000 comparsate utilizzate nelle numerose scene di massa.

Ideale prosecuzione del film “I motorizzati”, uscito appena un anno prima, entrambi ispirati dal nuovo codice della strada da poco introdotto in Italia. Il pretesto ideato dagli sceneggiatori è una inchiesta giornalistica sulle donne al volante. Diviso in cinque episodi, il film ha i suoi momenti migliori nell’episodio con Walter Chiari, perfetto in una impegnativa parte di podista in allenamento sulle stradine di campagna: una parte tutta giocata sulla gag fisica ad un livello quasi marionettistico e un pò alla Jerry Lewis; e soprattutto in quello con Totò, geniale quando catechizza la famiglia affamata e cerca di sfamare moglie, figlio e suocera con un solo uovo, chapeau! Grande successo di pubblico.

Dopo “La Dolce Vita”, continua splendidamente il felice sodalizio Fellini-Mastroianni. Un capolavoro assoluto che si fa vedere e rivedere senza stancare mai, vincitore di due Oscar: migliori costumi (Piero Ghirardi) e miglior film straniero. Una delle migliori colonne sonore della storia del cinema, firmata Nino Rota: la marcetta del film è diventata “la bandiera della clwoneria felliniana, ma anche la sigla musicale con la quale il nome di Rota risuona nella memoria collettiva di tutto il mondo”. Il titolo si riferisce al numero delle regie firmate da Fellini ( che aveva esordito firmando a metà con Lattuada “Luci del varietà). Mastroianni perfetto alter-ego di Fellini.

Gioiellino di comicità paradossale e popolana, tutta giocata sul gusto per il calco filologico e deformante della subcultura popolare, del patetico da fotoromanzo e del romanticismo da festival di Sanremo,, che contiene alcune delle più belle battute degli sceneggiatori Age e Scarpelli. Il trio di protagonisti è semplicemente sublime: Manfredi, Tiffin e Tognazzi. Soprattutto Tognazzi, in una strabiliante parte, quasi del tutto muta, tranne in un ultimo breve spezzone a fine film.

Equivoci e travestimenti dissacranti, che nascondono una certa malinconìa di fondo: l’epoca della rivista stava terminando, e anche il sodalizio tra Totò e Peppino De Filippo sarebbe concluso pochi anni dopo. La fine di un certo tipo di cinema, la fine di un certo tipo di fare spettacolo. Comunque, uno dei più divertenti film della coppia.

Curiosa parodia dei film di spionaggio americani, e stavolta dell’agente Flint interpretato da James Coburn. La parodia è nel nome dell’agente Flit, interpretato in maniera molto efficace ed ironica da Raimondo Vianello. Strampalato l’utilizzo dell’immagine di Vianello, che sfoggia giacche a scacchettoni e parrucche bionde durante tutto il film. Co-protagonista una giovanissima Raffaella Carrà.

Dal romanzo omonimo di Ugo Facco De Lagarda, il regista Ettore Scola costruisce una bella e riuscita commedia di costume, puntando tutto sulla malinconia e sulla bravura di Ugo Tognazzi, che sul facile versante della critica sociale. Bella prova, infatti, del grande Ugo Tognazzi, in una commedia amara che stempera l’acido corrosivo della satira di costume in un’aneddotica fin troppo colorita senza disperdere la sua forza malinconica.

Film a episodi cammuffato, la pellicole diverte grazie ad un cast molto ben assortito. Il copione di Castellano e Pipolo, dapprima, ammicca al musicarello con le presenze di Tony Renis e Fred Bongusto; ma poi ha al suo arco talenti comici in erba come Franco e Ciccio, e già ampiamente affermati come Walter Chiari e Carlo Campanini. Ottimi incassi al botteghino. Il migliore del gruppo è, comunque, Walter Chiari.

Ennesimo capolavoro del maestro De Sica, nell’ennesima collaborazione con il grande Cesare Zavattini. Oscar per Sophia Loren che vinse anche il Nastro d’argento 1961. Il romanzo (1957) di Alberto Moravia, è trasposto dalla coppia De Sica-Zavattini, con robusto piglio narrativo: intensa rievocazione degli anni di guerra, dolore e sangue.

Il film è il campione di incassi della stagione 1968/69: tre miliardi di lire. Ancora una volta Sordi è l’attore ad aver capito meglio di tutti lo spirito dei tempi. I tema dei poveri malati che facevano code eterne per una visita mutualistica è ancora attuale anche oggi, e attirò una massiccia mole di pubblico nelle sale. Ancora una volta Sordi aveva visto meglio e più lontano di tanti protagonisti del cinema di casa nostra. Straordinaria l’interpretazione di Sordi, e assolutamente unica è la sua capacità di capire e portare sullo schermo le realtà più nascoste dell’italia e degli italiani. A far da spalla a Sordi, due comprimarie di lusso: Pupella Maggio e Bice Valori.

Franco e Ciccio, gli attori più in voga del momento, in una parodia lampo del kolossal bellico americano “Il giorno più lungo”, ma ambientata in un’altra guerra mondiale (la prima anzichè la seconda). A imitazione delle superproduzioni internazionali furono mobilitati praticamente tutti gli attori comici dell’epoca in piccole parti: un supercast di 88 attori e attrici italiani (e non solo) di cinema e teatro, alcuni dei quali recitano per pochi secondi. Tutti gli attori, dai due protagonisti, alla marea di comparsate, tra cui gli ultimi trenta secondi con un mirabile intervento di Totò, parteciparono gratuitamente al film, per salvare le sorti della storica casa di produzione “Titanus” che versava in cattive acque e stava fallendo. E grazie a questo film, che incassò ovviamente tantissimo, si salvò. Una piccola-grande storia di solidarietà cinematografica.

Il film arriva nelle sale nell’estate del 1961 e registra a sorpresa un grande successo di pubblico: merito soprattutto di uno strepitoso Tognazzi, qui per la prima volta in un ruolo non solo farsesco. Il protagonista disegnato da Tognazzi fa compiere all’attore il grande salto dalla farsa alla commedia all’italiana, rivelando la sua straordinaria capacità nell’interpretare personaggi complessi e dai risvolti drammatici. Perfetto è infatti, il sarcasmo con cui descrive questo incrollabile fascista, sottolineando con ferocia la meschinità e il grottesco del passato prossimo nazionale. Il regista Luciano Salce conobbe Tognazzi sul set del film “Tipi da spiaggia” dell’anno precedente e lo volle a tutti i costi per questo progetto ambizioso che aveva in cantiere. E fu quindi la svolta per il grande Ugo Tognazzi. L’altro protagonista è l’attore francese George Wilson.

Uno dei massimi capolavori assoluti del cinema italiano e straordinario successo di pubblico, il film è una delle punte più alte del cinema popolare italiano, un autentico capolavoro di fantasia e di avventure farsesche. Intelligente e originale ricostruzione nazional-popolare di un pezzo di storia italiana, in chiara polemica con la visione hollywoodiana del Medioevo. Stupenda l’invenzione di una parlata mista di latino medievale e italiano prevolgare. La mano del maestro Monicelli si nota, nel gusto anarchico di una scampagnata becera e nei temi tipicamente monicelliani del gruppo dei piccoli perdenti e del senso della morte. Al successo del film, contribuì non poco l’interpretazione magnifica di Vittorio Gassman e del suo Brancaleone da Norcia, entrato nella storia e nella memoria collettiva del nostro paese. Tanto è stato il successo del film, che il suo titolo è passato in proverbio, come di un gruppo di persone che vogliono compiere una cosa più grande di loro. Chapeau!

Renato Rascel è il perfetto protagonista della commedia, che è ispirata al recente primo trapianto di cuore effettuato dal chirurgo Christian Barnard. Solo che nel film l’organo da sostituire non è il cuore, ma l’organo genitale maschile. Rascel interpreta la parte di un padre prolifico al quale viene chiesto di sottoporsi ad un trapianto di gonadi per un miliardo. Film di grana grossa, dato l’argomento, ma per niente volgare e molto divertente, grazie all’insolito duo di protagonisti: Carlo Giuffrè e il veterano Renato Rascel. Rascel è qui al suo ultimo film per il cinema, e grazie alla sua presenza gli incassi volano: 700 milioni di lire!

Il film, sorretto nelle parti recitate dall’estro di Franco e Ciccio e di Nino Taranto, è un’ottimo musicarello, conformista quanto basta e pieno di macchiette gustose. I protagonisti sono Albano Carrisi e Romina Power, e fu il primo,galeotto film della coppia: sul set, infatti, la figlia sedicenne di Linda Christian e di Tyrone Power si innamorò del ragazzo di Cellino San Marco; lo avrebbe, poi sposato nel 1970, facendo sognare una nazione intera. All’epoca, grazie a queste prerogative, il film. fu un grande successo commerciale, sfiorando il miliardo di lire di incassi. Seguìto da “L’oro del mondo”.

Film a episodi diviso in tre parti e tutti e tre con Mastroianni protagonista. Scandalosa operazione commerciale del produttore Carlo Ponti che giudicando impresentabile il film che aveva fatto girare al regista Marco Ferreri ( “L’uomo dei 5 palloni) lo ha ridotto fino a 25 minuti e lo ha distribuito con altri due episodi girati frettolosamente, uno diretto da Eduardo De Filippo, l’altro diretto da Luciano Salce. Nonostante tutto, nel primo episodio ci sono ancora scintille di intelligenza e paradosso, negli altri due soltanto qualche grama risata.

Ruggero Maccari e il regista Franco Giraldi adattano il romanzo omonimo di Alba De Cespédes: e Tognazzi ( vincitore del Nastro d’argento), davvero bravissimo, aggiorna il personaggio del borghese succube de “La voglia matta”. Sospeso tra caso patologico, satira di costume e malinconia esistenziale, il film è ben reso e ben interpretato.

“Operazione San Gennaro”(1966), è una deliziosa commedia giallo-rosa di ambientazione napoletana. Il film folkloristico e colorato è uno dei massimi successi degli anni ’60, ed uno dei film più famosi ancora oggi. Nino Manfredi ne è lo splendido protagonista, al fianco di un mirabile Totò a fine carriera.

Efficace e divertente satira sul notabilato politico-giudiziario, scritto da Age e Scarpelli, principi della commedia all’italiana, è sostenuto da uno scattante brio satirico con graffianti spunti di critica di costume. Il film è venato da una consapevolezza nuova, un poco triste, che è tipica di molti film con Alberto Sordi intorno a quel periodo. Infatti, ottima interpretazione di un malinconico Sordi.

Il regista Luciano Salce mette in scena uno scontro di generazioni, con un quasi quarantenne (Tognazzi) che per la prima volta si rende conto di essere vecchio, e con i suoi pochi valori ridicoli non riesce a farsi rispettare dai giovani euforicamente amorali e soprattutto dalla ragazzetta (Catherine Spaak), della quale si è invanghito. Bellissima prova di Tognazzi che a quarant’anni sale sull’autobus della commedia all’italiana insieme a Sordi, Gassman e Manfredi. E’ il miglior film di Salce. Battuta famosa: “mai mettere la donna sul piano sentimentale…sempre sul piano orizzontale”.

Spigliata commedia con influssi di giallo e divagazioni turistiche, stavolta sulle bellezze della Calabria, la pellicola è prodotta dall’attore Memmo Carotenuto: soliti equivoci, solite fallimentari scappatelle, solita apologia finale della moglie e del matrimonio. Tutto già visto e rivisto, questo si, ma la coppia composta da Memmo Carotenuto ed Aroldo Tieri rende e diverte.

Quattro storie di donne per quattro maestri del cinema italiano. Le donne: Monica Vitti, Claudia Cardinale, Raquel Welch e Capucine. I maestri: Luciano Salce, Mario Monicelli, Mauro Bolognini e Antonio Pietrangeli. Insieme a loro anche Alberto Sordi, Enrico Maria Salerno e Gastone Moschin. Quattro storielle boccaccesche raccontate con garbo e professionalità, dove la tipica comicità da sketch spesso sfocia nel paradosso estemporaneo.

Il quartetto Macario-Fabrizi-De Filippo-Taranto, dopo le esperienze riuscitissime de “I 4 monaci” e de “I 4 moschettieri”, stavolta vengono affiancati dal produttore Gianni Buffardi, al grande Totò, uno alla volta, in una specie di aggiornamento di “Accadde al commissariato” dieci anni dopo. Non bissò il successo dei precedenti film, ma rimane un’ottima prova insieme del sontuoso quintetto d’attori. Il migliore: Nino Taranto nei panni dell’ingegner Mastrillo.

Tratta dal romanzo omonimo di Luciano Bianciardi questa “storia socialpsicologica e post-miracolistica” riesce a ricostruire con acutezza e originalità il disagio diffuso che gli anni del boom avevano fatto crescere nelle coscienze più lucide. Il regista Carlo Lizzani crea un’efficace narrazione libera e disarticolata, con un magistrale Tognazzi capace di rendere il disagio e l’insofferenza di una generazione che sconfessa i propri ideali, incapace di drammi e sempre più anestetizzata dal denaro. Protagonista femminile, al fianco di Tognazzi, Giovanna Ralli. Uno dei capisaldi della commedia all’italiana.

In macchina da presa Vittorio De Sica, davanti alla macchina da presa la Loren e Mastroianni, in un testo tratto dalla fortunata commedia teatrale di Eduardo De Filippo “Filumena Marturano”. Bastano già, solo questi dati, perchè il film possa essere considerato un capolavoro. Il trio De Sica-Loren e Mastroianni funziona alla perfezione e confezione un film perfetto, che ottenne la nominations all’Oscar, perdendo contro “Ieri, oggi, domani”, che è sempre un loro film, ottenendo però, uno strepitoso successo di pubblico in tutto il mondo.

Ritorna il quartetto di lusso dei precedenti film, “I quattro monaci” e “I quattro moschettieri”, ma con alcune differenze sostanziali: il quarto del gruppo non è più Nino Taranto, ma Gino Bramieri; e la pellicola è divisa in quattro episodi, che hanno in comune il filo giallo del taxi, ognuno nelle sue città di appartenenza. Così Bramieri è protagonista dell’episodio ambientato a Milano; Peppino a Napoli; Macario a Torino; e Aldo Fabrizi ovviamente a Roma. “I quattro tassisti” si colloca nella fascia più disimpegnata e godibile del cinema italiano di allora, quella in cui stavano trionfando Vianello, Tognazzi e Chiari. I quattro protagonisti fanno dei loro episodi, ognuno nel suo, dei raccontini graffianti e squisitamente parodistici. Su tutti, comunque, Macario, perfetto nel tratteggiare il suo personaggio patetico e malinconico nel migliore dei quattro episodi. Incassi in calo.

Dal romanzo omonimo di Cassola e diretto da Luigi Comencini, un film amaro e malinconico, che affronta senza retorica i drammi postbellici e i dilemmi postneorealisti: Comencini sa esprimere bene il senso di delusione e sconfitta vissuto dagli ex partigiani nell’immediato dopoguerra e propone un crepuscolare ritratto femminile, quello di una ragazza che assume con coscienza la propria condizione e tenta invano di non esserne succube. Memorabile Claudia Cardinale, che per la prima volta, in questo film si doppia da sola.

Seguìto del film “Nel sole”. Il cast è lo stesso, da Nino Taranto, la coppia Franchi & Ingrassia, Romina Power e Albano Carrisi, la favola musicale si ripete di pari passo, sfruttando l’eco dell’amore extracinematografico tra Al Bano e Romina. Si ripete anche il successo commerciale enorme. Curiosità, i personaggi di Nino Taranto e di Franco e Ciccio cambiano mestiere, il primo da professore diventa proprietario di un negozio di elettrodomestici; i secondi da maggiordomi a salumieri. E proprio grazie alla popolarità di Franco e Ciccio, il film verrà poi rieditato con il titolo de “I due salumieri”.

Come l’invenzione tutta italiana del genere dei film a episodi, possa arrivare a vincere l’Oscar come miglior film straniero. Il trio De Sica-Loren-Mastroianni firma un altro capolavoro assoluto del nostro cinema e conquista il mondo. Enorme successo di pubblico per questi tre episodi che si basano soprattutto sulle grazie della Loren e sulle qualità comiche di Mastroianni ( irresistibile nell’episodio intitolato “Mara”, nel ruolo del cliente bolognese vessato dal padre). Il négligè con cui la Loren si mostra nell’ultimo episodio ha lasciato il segno nell’immaginario popolare, nella celebre scena dello spogliarello che lei e Matroianni hanno rifatto con molta ironia in “Prèt-à-porter”, trent’anni dopo. Regia come sempre magnifica del maestro De Sica, qui al suo terzo Oscar.

Una favola fredda e crudele, dove il delitto resta impunito e la vita del protagonista continua a svolgersi senza nessun intoppo, nè legale nè tantomeno morale. Il regista Lattuada usa al meglio la sua capacità di essere un osservatore glaciale e distante della vita italiana, senza concedere nulla alla comicità più facile che l’ambientazione siciliana avrebbe ben permesso e dirigendo un Alberto Sordi in gran forma nel personaggio più “immorale” di tutta la sua carriera.

Uno dei massimi capolavori della cinematografia italiana, e più nello specifico della commedia all’italiana. Favoloso spaccato di grande precisione sociologica dell’Italia del boom di cui Gassman incarna con istrionismo tutti i difetti ( l’euforia artificiale, la presunzione, l’irresponsabilità, il vuoto di fondo) e i pochi pregi (la generosità, la disponibilità). La società di quel periodo è resa con un’euforia rara, un’ammirevole sapienza nel passare dall’agro al dolce, dal comico al grave. Al successo del film contribuì non poco l’interpretazione fantastica di un Vittorio Gassman al massimo della forma, strabordante nel rappresentare il suo cialtrone quasi quarantenne e nullafacente, contraltare del pacato e timido studente universitario interpretato da Jean Louis Trintignant. Si ride, si riflette, si sorride amaro e si piange. Capolavoro assoluto, allora poco capito dai critici, ma applauditissimo dal pubblico, oggi è invece un mito della critica cinematografica attuale.

Una delle tante commedie che negli anni ’60, sulla scia del successo di “Tutti a casa” e de “La Grande guerra”, cercarono di sfruttare i temi dell’antifascismo e della resistenza. Ed è anche una delle più riuscite ed efficaci, grazie alla grande interpretazione di Peppino De Filippo, al suo meglio in quel suo involontario e quasi goffo distacco dalla mistica fascista.

Scritto e girato nell’arco di soli dieci giorni, per riempire un vuoto di produzione, il film si regge tutto sulle caratterizzazioni del suo cast di lusso: Sordi con gli occhialini rotondi è memorabile, e la Valeri- nei panni della disinibita figlia di De Sica in cerca di fidanzato- ha momenti di grande divertimento. E poi c’è il grande De Sica a dare quel tocco di eleganza e di esperienza in più al film. All’origine del personaggio principale, interpretato da Sordi, c’è la figura di Agostino Greggi, assessore DC al comune di Roma e animatore dell’ Associazione padri di famiglia, famoso per le sue fobie e le sue campagne moralizzatrici.

Film a episodi diviso in 5 sezioni e 11 episodi, alcuni anche molto brevi, con una lunga, incredibile galleria di attori famosi: un cast mozzafiato. Walter Chiari, Anna Magnani, Lando Buzzanca, Aldo Fabrizi, Peppino De Filippo, Nino Manfredi, Alberto Sordi, Virna Lisi…e potremmo ancora continuare. Diretto da Nanny Loy è il tentativo di rinnovare la formula dei film a episodi con la satira di costume. Qua e là incisivo. Su tutti Anna Magnani.

Insolitamente in coppia, Raimondo Vianello e Mario Carotenuto offrono un’ottima prova da protagonista in questo film, che è una parodia efficace e divertente, del genere peplum, con gli araldi che annunciano le novità suonando la sigla del telegiornale. Franco e Ciccio appaiono in una piccola parte, ma dopo il loro successo, il film sarà rieditato con il loro nome avanti a quello di Maciste.

Un “divertissement” esilarante e spregiudicato, un pò satira di costume e un pò “road movie: anche se la “congiuntura” (la crisi economica del 1964) comunque c’entra poco e nulla. Vittorio Gassman (premiato con il David di Donatello) è in gran forma comica per tutto il film e supera se stesso nel delizioso finale a base di inseguimenti “slapstick”. Da vedere!

Splendida commedia road-movie che narra di un fantomatico rally di Montecarlo negli anni ’20. Straordinario all star cast internazionale: Walter Chiari, Lando Buzzanca, Bourvil, Tony Curtis, Susan Hampshire, Terry-Thomas, Gert Frobe.Appassionante, divertente e stravagante. Diretto da Ken Annakin. Grosso successo internazionale, come prevedibile.

Divertente commedia all’italiana di stampo popolare, il film si compone di 4 episodi in cui viene preso di mira il proverbiale gallismo del maschio italiano. il cast è piuttosto nutrito e composto da nomi noti dello spettacolo dell’epoca, su tutti svetta la coppia Raimondo Vianello-Sandra Mondaini, oltre a Gino Bramieri, Mario Carotenuto e Carlo Delle Piane.

Il film è il sequel di “Operazione San Gennaro”, uscito l’anno precedente. Vi appaiono infatti alcuni personaggi di contorno con lo stesso nome e lo stesso interprete. Il film, comunque, conta su interpreti meno brillanti che il film modello, basti pensare che nn vi sono ne Manfredi ne Totò nel film. Ma c’è, comunque, un ottimo Buzzanca a tenere, con sanguigna presenza, le redini del film,

Diretto deliziosamente dalla sapiente mano di Dino Risi, il film ripercorre esaustivamente uno degli avvenimenti che più hanno segnato la storia d’Italia dal primo dopoguerra ad oggi: la “marcia su Roma” del 1922. La storia di due poveracci che partecipano, illusi da facili promesse, alla marcia su Roma, fa da sfondo ad una riuscita attendibilità storica del film: le prime violenze, i primi scontri con i “rossi bolscevici” e soprattutto le responsabilità storiche di chi era chiamato a fermare ciò che poteva ancora essere fermato. I protagonisti del film sono Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi, grandissimi amici nella vita, ed esemplari interpreti di questa pellicola ambiziosa che ripercorre un pezzo importante di storia patria.

Riflessioni morali in prima persona di Walter Chiari assoluto protagonista della pellicola nei panni del relatore-presentatore-commentatore di un viaggio tra gli italiani degli anni ’60. Scritto da un gruppo di sceneggiatori di alta scuola e diretto da un maestro del cinema come Alessandro Blasetti, il film è volutamente diseguale e incostante, ma ricco di spunti interessanti, talvolta graffianti, come le scene in chiesa sull’ipocrisia del credo religioso. Blasetti offre a Chiari una delle migliori occasioni degli anni ’60, in una delle migliori commedie degli anni ’60, con un film impaginato in una struttura vivacemente anarchica, in cui Chiari interpreta diversi personaggi immaginari. Nel suo ultimo film il regista sceglie Walter come proprio alter-ego sullo schermo, in maniera del tutto simile al Mastroianni/Fellini di “8 e mezzo”, per quello che è destinato a diventare il suo testamento artistico e spirituale. Per il regista, il volto di Walter Chiari rappresenta al meglio l’italiano del miracolo economico, egoista, cinico, ma in fondo buono. A far da spalla a Walter Chiari, vero unico mattatore del capolavoro della maturità artistica di Blasetti, un “all star cast” con attori come Vittorio De Sica, Silvana Mangano, Marcello Mastroianni, Gina Lollobrigida, Sylva Koscina, Nino Manfredi e altri ancora…

Film diviso in 4 episodi, tutti diretti da Marco Ferreri e interpretati da Ugo Tognazzi. 4 apologhi sulla degradazione del matrimonio e sulle aberrazioni causate dall’uso rituale e strumentale di questo istituto, di cui non si sanno più perseguire i fini. Attualissimo ancora oggi, per la precisione e la ferocia con il quale è trattato il tema: un’ottima e amara commedia all’italiana. Ebbe alcuni problemi in sede di censura. Tognazzi illuminante!

Per sfruttare il successo del “Sorpasso”, il produttore Mario Cecchi Gori ripropone la stessa coppia di attori ( Gassman e Trintignant) e richiama i medesimi sceneggiatori, Ettore Scola e Ruggero Maccari. Ma non convince il regista Dino Risi ( che pure accetterà di dirigere quasi tutto il film senza firmarlo, dopo che Gassman si dichiarerà scontento del troppo inesperto regista Mauro Morassi). In questa confusione, l’esito è squilibrato anche se a tratti insolitamente cattivo finisce per l’essere schiacciato da un Gassman a briglia sciolta, e perciò poco controllato nel suo misto di arrogante baldanza e dichiarato cinismo

Un trio di attori di livello assoluto, Totò, Macario e Nino Taranto in una divertente parodia, vagamente debitrice ai “Promessi sposi” del Manzoni. Il film è letteralmente infarcito di giochi di parole e calembour capaci di far ridere con gusto per tutta la sua durata. Tre amici, tre attori in grande forma, soprattutto Taranto, nel ruolo del perfido signorotto Egidio, padrone del castello. Nel film anche Celentano e Don Backy in saio, che ballano il rock cantando “La carità”.

E’ l’unico film in cui recitano insieme Totò e la Magnani, vecchi amici e compagni d’avanspettacolo. E’ una pellicola amarognola (con tendenza al patetico), poco fortunata e sostanzialmente sottovalutata. E invece i due protagonisti sono da antologia nel saper dosare in maniera perfetta ironia e compassione, flemma e rassegnazione, galanteria e anacronistici gesti di cavallerìa. Da appalusi!

Una storia d’amore non a lieto fine e un’iniziazione sentimentale raccontata con pudore e limpidezza: “La ragazza con la valigia” è uno dei film più raffinati ed incisivi del regista Valerio Zurlini, e più in generale di tutti gli anni ’60. Sotto l’atmosfera di una provincia crepuscolare e rurale che oggi non esiste più, ricchi di notazioni psicologiche, di costumi e di rimandi letterari-figurativi, i due personaggi principali forniscono la prova più convincente della raggiunta maturità espressiva, non solo dell’autore, ma anche dei due protagonisti: Jacques Perrin e Claudia Cardinale. Il sedicenne Perrin e la ventunenne Cardinale furono perfetti e due interpreti indimenticabili.

Ottimamente interpretata da Nino Manfredi e tratto da una storia autentica, la pellicola è una commedia piena di humour nero in cui si riconosce la mano degli sceneggiatori Rafael Azcona ed Ennio Flaiano. Pamphlet contro la pena di morte e contro la società franchista (quindi ambientato durante la dittatura del generale Franco, nella Spagna degli anni ’30), uscì in Spagna in ritardo e mutilato delle immagini della garrota. Presentato al festival di Venezia, ottenne il premio della critica internazionale, ma suscitò reazioni polemiche da parte della delegazione ufficiale spagnola.

Forse il miglior film a episodi dell’epoca, “Le bambole” è uno dei massimi capolavori del genere. Impietoso nel mettere a nudo vizi e voglie basse di tutte le classi sociali, tuttora molto divertente e girato con eleganza. Il primo episodio, quello diretto da Dino Risi e interpretato meravigliosamente da Nino Manfredi e da Virna Lisi è entrato nella memoria popolare, ed è una spanna sopra gli altri, per l’abilità di cogliere tanti piccoli tic borghesi e per il divertimento che ne fuoriesce dalla visione. Se il film è un capolavoro, tanto di questo merito è del primo episodio. Gli altri episodi, diretti da Comencini, Rossi e Bolognini e interpretati, tra gli altri da Gina Lollobrigida e Maurizio Arena, hanno anche loro una loro grazia ed una loro eleganza, comunque sopra la media, di tanti film a episodi dell’epoca. Strepitoso successo di pubblico.

Sorretto da un’attenta regia e da un terzetto affiatato, Sordi, Blier e Manfredi; il film è una divertita presa in giro della provinciale e odiosa arroganza dell’italiano arricchito nel terzo mondo. Le abbondanti e gustose trovate comiche piacquero molto al pubblico, che trasformò il film in un vero campione di incassi (quasi due miliardi al botteghino).