Carlo Dapporto: uomo e artista sensibile

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Era il 1954 quando Carlo Dapporto inizia un proficuo sodalizio con la coppia di autori Garinei & Giovannini. La commedia avrà un tale successo di pubblico, da essere riproposta per due anni interi sui palcoscenici di tutta Italia, e verrà riproposta pari pari sul grande schermo quello stesso anno, per la regia di Daniele D’Anza. “Giove in doppiopetto” è la prima grande commedia musicale della storia del cinema italiano, e vede come suoi mattatori la presenza del grande Carlo Dapporto in coppia con Delia Scala. Liberamente ispirata all’”Anfitrione” di Plauto, “Giove in doppiopetto” è tutto giocato su equivoci e qui pro quo, magistralmente interpretati da uno spumeggiante Carlo Dapporto, che qui mette in atto tutto il suo dilagante istrionismo e il suo charme da Maliardo; in più abbiamo una strepitosa Delia Scala. Una pellicola costruita su misura per il personaggio del maliardo, impenitente seduttore con il frac e i capelli tirati dalla gelatina; e per la scatenata e atletica verve comica di Delia Scala. Il film è, inoltre dotato di un cospicuo numero di scene molto divertenti, una di esse rimasta nella memoria collettiva, quella del numero del “bacio con le pere”, interpretata da Dapporto assieme a Franca Gandolfi, futura moglie di Domenico Modugno; ma gustosissime sono anche le scene di vita coniugale interpretate con Delia Scala. I suoi personaggi stupiscono il pubblico con un infinito repertorio di doppi sensi, incentrati sul comune senso del pudore. Nel film si canta anche la malinconica “Ho il cuore in paradiso”, altro cavallo di battaglia di Dapporto. A testimonianza del fatto, che il film in questione sia uno dei più importanti prodotti cinematografici degli anni ’50, per la svolta epocale che ha saputo imprimere, con la nascita della commedia musicale italiana, una recensione dell’epoca aiuta a comprenderne l’importanza: “Delle riviste teatrali portate allo schermo questa è indubbiamente la meglio adattata alle esigenze del cinema ed anche quella che più si prestava alla trasposizione essendo meno inconsistente del solito nella trama (…). Troppo spesso, però, la fotografia appare sfocata, anche se il cinemascope, con cui è realizzata, apre nuovi orizzonti al colore cinematografico (…)”. (A. Albertazzi, “Intermezzo”, n. 7 del 15/4/1955)”. Quest’opera salda definitivamente e meritatamente Carlo Dapporto, tra le leggende del nostro cinema.

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Liberamente ispirata all’ “Anfitrione” di Plauto, un film tutto giocato su equivoci e qui pro quo, magistralmente interpretato da uno spumeggiante Carlo Dapporto e da una strepitosa Delia Scala. Grosso successo

Tra i grandi della rivista italiana dell’epoca, Dapporto resta uno di quelli che più sono rimasti legati al palcoscenico. Ma la sua presenza è stata intensa anche al cinema, soprattutto negli anni ’50, quando era al culmine del successo. “Mio padre è sempre rimasto molto legato a Sanremo, dove aveva la mamma, gli amici e la “fameggia sanremasca”: fino agli anni ’70 ci siamo tornati ogni estate – ricorda il figlio Massimo – Sentiva poi Milano come la sua patria professionale, quella che lo aveva portato al successo. Ma negli anni ’50 ci portò tutti a Roma, perché gli era stato fatto un contratto quinquennale dalla Ponti-De Laurentiis, e il cinema si faceva a Cinecittà. Non erano ancora gli anni della commedia all’italiana vera e propria, e andavano di moda i film ad episodi in bianco e nero, in cui famosi attori di rivista interpretavano sullo schermo i loro sketch; oppure i film a colori ispirati alle riviste di maggior successo, come accadde per “Giove in doppiopetto”, uno dei più grandi successi di mio padre. Lui fece molti di questi film, anche se uno dei titoli di cui mi parlava più spesso era “Il vedovo allegro”, degli anni ‘40”. Anche se la carriera artistica dell’attore sanremese fu tra le più frenetiche e impegnate, si dimostrò sempre assai generoso, recitando spesso in spettacoli di beneficenza, tenuti sovente in orfanotrofi, carceri e ospedali, specialmente in Liguria. L’amore per la sua terra d’origine lo portava a raccontare volentieri storielle ambientate a Genova, nelle quali punzecchiava bonariamente la connotazione peculiare – vera o presunta – degli abitanti di quella città, e cioè la proverbiale spilorceria e avarizia. Basti questo sketch, tratto dalla trasmissione televisiva “La via del successo” del 1958, che ebbe come divertito complice il suo amico Walter Chiari. Un piccolo armatore genovese, impegnato a controllare i conti dietro al tavolo di lavoro, chiama il suo uomo di fiducia: “Affacciati un po’”, gli dice, “e vedi che tempo fa”. L’ometto va alla finestra e ritorna: “Commendatur, mi sa che oggi ci avremo un po’ di pioggia”. E l’armatore:”Ci avremo…come sarebbe a dire ‘Ci avremo’?! Ma siamo mica soci!”. Mio padre lo ricordo innanzitutto come uno che portava il buonumore dappertutto, anche fuori dalla scena, con chiunque. Per lui avere una persona davanti significava già avere un pubblico. Aveva quello spirito ligure sempre pieno d’ironia, che trovo ad esempio in un Beppe Grillo, anche se lo aveva in modo più soffice, più elegante. Al di fuori del lavoro era quasi sempre con persone semplici. Passava ore a giocare a scopetta col tappezziere sottocasa. Oppure stava al tavolino del bar, con gli amici. Ed era anche una persona molto sensibile. Faceva del bene, ma in maniera nascosta. Ci tengo a ricordare questo suo aspetto, il suo modo di essere molto discreto: un uomo di grande umanità ma anche di grande discrezione…” (Massimo Dapporto ).

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Carlo Dapporto, ormai anziano, in una foto degli anni ’80, con il figlio Massimo.

Carlo, come già accennato, ha interpretato anche numerosi spettacoli di beneficenza in orfanotrofi, carceri, sanatori, fabbriche, ospedali militari, per la Croce Rossa e per le Forze armate, e non solo ha anche fatto importanti donazioni per l’Ospedale Gaslini di Genova, per aiutare i bambini malati e i più bisognosi. E tutto ciò non lo scrivo per falso perbenismo, ma perché quando un uomo, prima che artista, fa del bene, e sul serio, senza secondi fini, è giusto che lo si ricordi. Dapporto era una persona simpatica, gioviale, a differenza di molti degli altri grandi comici, non era triste nella vita di tutti i giorni. La simpatia innata è stata la cifra della sua carriera, era infatti un grande raccontatore di barzellette, anche meglio di Gino Bramieri. Sempre elegante, quella del Maliardo, era un pò la sua caricatura, lui era sempre a posto, quando si svegliava al mattino indossava sempre la vestaglia, “che dava l’impressione di ordine, di pulizia”. Un’estrema eleganza nei modi e nel vestire, con quei capelli sempre in ordine, impomatati, che venne notata ad esempio da Marisa Del Frate che in un’intervista ebbe parole di elogio e di devozione per l’uomo e l’artista Dapporto: “Io venivo da una commedia musicale con Macario e allora fui chiamata dall’amministratore di Dapporto, a recitare nella sua Compagnia, per la commedia “Il Cenerentolo”. E li ho conosciuto questo grande artista, elegante, tutto profumato, che avevo applaudito molte volte, ma che io non conoscevo. Un capocomico severo, ma gioviale dietro le quinte, una capacità di improvvisazione che ho visto fare solo a Totò o a Macario, un capocomico con lo spettacolo nel sangue”.      

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Una foto autografata di Carlo Dapporto, donata ad un suo amico. Si deduce fosse il 1958: siamo nel periodo d’oro della carriera dell’artista sanremese.

”Rimango talmente impressionato dalla lettura di un libro giallo, che quando lo rimetto a posto cancello sempre le mie impronte digitali”.È una delle mille e più battute che Carlo Dapporto ha dispensato al folto pubblico di ammiratori durante la sua strepitosa carriera in televisione, nel cinema e nei teatri di tutta Italia, con quell’aria inconfondibile da “maliardo” (come gli piaceva definirsi): capelli imbrillantinati, sguardo ironico e seducente da consumato viveur, mimica da scettico irriducibile, cadenza squisitamente francese, parlata sempre carica di doppi sensi, abbigliamento impeccabile in completo scuro, quando non splendidamente candido, di un’eleganza senza pari, con cilindro, papillon, guanti, bastone e monocolo all’occorrenza. “Son io /”, cantava, “che col monocolo nell’occhio, / men vado tra la folla ultramondana: / le donne uso aggiogar tutte al mio cocchio / con questa mia guardata ardita e strana, / ma se non han baiocchi non le guardo… / et le voilà, son qua: / sono il maliardo!”. Dapporto nacque a Sanremo il 26 giugno 1911 da Giuseppe, che faceva l’umile mestiere di ciabattino (“La mia era una famiglia malestante”, rimarcherà in varie occasioni), e dalla madre Olimpia Cavallito, una casalinga originaria di Asti che, con la sua parlata, gli trasmetterà quella cadenza un po’ strascicata, tipicamente piemontese, utilizzata poi dall’attore in vari sketch, e soprattutto nella caratterizzazione del suo celebre e ruspante personaggio, Agostino “dal baffo assassino”, protagonista di molti spettacoli e di alcuni esilaranti spot pubblicitari nella popolare trasmissione televisiva Carosello. “Conosci mio zio Adelmo?”, raccontava Dapporto-Agostino in una memorabile scenetta. “Ma sì che lo conosci: è quello che faceva il domatore al circo. Metteva sempre il braccio destro nella bocca del lione… Lo chiamavano “l’intrepido”. Un giorno, zac!, è successa la disgrassia… Da allora lo chiamano “il mancino”.

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Sul palcoscenico della rivista “Sognate con me”, del 1945, Dapporto conobbe una bella ballerina di nome Augusta e ne rimase folgorato. “Divenne mia moglie, e mi diede la grande gioia di essere padre di due ottimi e adorabili figli: Massimo, che nacque nel 1945, e Dario, nato otto anni più tardi. La mia Augusta, con la sua sensibilità, divenne la mia consigliera, che metteva il suo bene, il suo amore al servizio anche del mio lavoro. Collaborava nel migliorare, nel modellare, nel perfezionare sempre più la mia personalità d’attore”.Il figlio Massimo, è oggi uno dei più autorevoli e importanti attori del panorama dello spettacolo italiano, attore di spicco in teatro, cinema e televisione, è stato, tra i tanti personaggi che ha interpretato, uno strepitoso Giovanni Falcone, nel film tv “Giovanni Falcone, l’uomo che sfidò Cosa Nostra”(2006). Per questa profonda interpretazione ottenne consensi unanimi, quasi come quelli che ottenne in coppia, addirittura con il padre Carlo, per il film di Ettore Scola, “La famiglia”(1986), e per il quale entrambi, padre e figlio, ottennero il prestigioso Ciak d’oro ex-aequo come miglior attori non protagonisti. Carlo aveva anche una figlia, Giancarla, docente di letteratura e scrittrice, la sua primogenita, vissuta lontano da lui per tanti anni. In occasione dei 25 anni della morte del padre, Giancarla, ha rilasciato un’intervista, nell’ottobre 2014, per “La Repubblica”, in cui ripercorre il suo rapporto con il padre, “…tanto sensibile ed elegante, amante della straordinaria bellezza della vita: un vero signore delle scene”.

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Delia Scala, Carlo Dapporto e la moglie nel camerino del teatro Sistina.

Il cinema di Dapporto e i suoi migliori film

Durante la sua lunga carriera ha avuto modo di lavorare accanto ai più importanti partner dell’epoca, tra cui ricordiamo Isa Barzizza, sua giovane concittadina sanremese. Una carriera cinematografica intensa e ricca di successi, soprattutto negli anni ’50, quando Carlo era al culmine del successo. Nel cinema Dapporto ha interpretato 38 film dal 1943 al 1987, dei quali 34 da protagonista, co-protagonista o in partecipazione straordinaria, cioè come attrattiva principale del film. Nel cinema leggero degli anni ’50 e degli anni ’60, Dapporto fu uno dei grandi protagonisti, tra i suoi titoli più importanti ricordiamo, “La presidentessa”(1952) di Pietro Germi, che è uno dei suoi più prestigiosi film, e lo vede protagonista nel ruolo del ministro francese che perde la testa per Silvana Pampanini;“Giove in doppiopetto”(1954), già analizzata riduzione cinematografica di un testo di Plauto; “Il vedovo allegro”(1949) di Mario Mattoli, splendida commedia sentimentale con un Dapporto profondo e quasi drammatico; “Ci troviamo in galleria”(1953) di Mauro Bolognini, con Dapporto perfetto nel descrivere con nostalgia e un filo di commozione la vita dei poveri guitti, che girano l’Italia in cerca di una scrittura e della gloria. Altri titoli degni di nota sono “Finalmente libero”, “Scandali al mare”, “Undici uomini e un pallone” e “L’adorabile Giulio”. Sono comunque tutti film dove Dapporto è protagonista, e che hanno successo grazie anche alla sua presenza sempre molto gradita dal pubblico di tutte le età. Anche film “impegnati”: “Fortunella”(1958), di Eduardo De Filippo, e “La famiglia”(1986), di Ettore Scola. E’ stato quindi, proprio il cinema, a offrire a Dapporto l’occasione di dimostrare le sue capacità d’attore in modo più completo, e di permetterle di verificarle anche alle generazioni future, nonostante il teatro fosse sempre rimasto il suo primo amore.

  • Il vedovo allegro(1949). Bebè (Carlo Dapporto) è un artista di varietà che gestisce a Cannes un locale, “Il vedovo allegro” appunto, insieme ad un losco ed equivoco socio (Ubaldo Lay). E’ vedovo e ha a Sanremo una bimba malata di cuore del quale tutti ignorano l’esistenza. Equivoci e guai: la bimba verrà salvata da un importante chirurgo italo-americano (Amedeo Nazzari); il cattivo verrà assicurato alla giustizia grazie ad un solerte e comprensivo commissario (Luigi Pavese); e il nostro eroe si trasferirà definitivamente a Sanremo insieme alla sua amata Lucy (Isa Barzizza), prima donna del locale. In bilico tra commedia e dramma, Mario Mattoli rivisita con affetto il mondo del tabarin, scegliendo un’ambientazione internazionale, il film infatti si svolge tra Cannes e Sanremo, tanto cara sia a Dapporto che alla Barzizza, che sono i protagonisti della pellicola. Commedia sentimentale, più che comica, ma che dà modo a Dapporto di sfoderare un’interpretazione d’attore più profonda, a cavallo tra il drammatico e il comico. La storia patetico-sentimentale del padre vedovo di una bambina malata con quella a tinte scure dell’artista in apparenza soddisfatto del proprio mestiere, è resa con molta efficacia da Dapporto, attore altrove di spiccata comicità, ma che quì oscilla magistralmente tra il grottesco e il patetico, passando con maestria da atteggiamenti severi a quelli comici per poi diventare drammatico o tremendamente sarcastico nel tempo di una sola battuta, come solo i grandi attori sanno fare. Come detto in un’intervista dal figlio Massimo, il film è probabilmente, il preferito della lunga carriera cinematografica del padre, ed effettivamente anche la critica dell’epoca ebbe parole d’elogio: “Carletto Dapporto, a differenza del regista di questo film, degli altri attori, del soggettista e del produttore, ha fatto una bella figura. Ha lasciato indovinare, insomma, che oltre all’attore di avanspettacolo c’è dell’altro, c’è un attore completo.”( F.Gabella, “Intermezzo”, del 31/7/1950 )
  • La presidentessa(1952).Commedia garbata retta dall’ottimo cast: la Pampanini, Tieri, Dapporto, Calindri, Pavese, la Ninchi. C’è tanta classe nella recitazione, quanta verve nella storiella ricca di inghippi, intrighi ed equivoci. Scorre che è un piacere ed il nome di Germi in regia non deve sorprendere, alla luce di ciò che saprà fare nel quindicennio successivo. Un caso strano che questa commedia teatrale, di successo, sia stata realizzata per il cinema solo in Italia. La trama è qui un congegno particolarmente delicato, essendo una splendida pochade francese, in cui però spicca il Ministro, di Dapporto. E’ lui il vero mattatore del film, a parte il prorompente fascino della Pampanini. Ispirato alla celebre commedia francese di Charles-Maurice Hennequin, Dapporto, ha l’eleganza e il fascino necessario per reggere da solo un testo così complesso, nel ruolo più importante della sua carriera. Grande successo di pubblico.
  • Ci troviamo in galleria(1953).L’esordio cinematografico di Mauro Bolognini si esercita su un soggetto non certo originale. Tuttavia, il film merita la visione per tre motivi. Il primo è la rappresentazione di un mondo perduto, come quello “magico” della rivista. La regia dell’acerbo ma già elegante Mauro Bolognini amministra il traffico con ammirevole sobrietà e simpatica vacuità, nei colori particolarissimi del Ferraniacolor delle origini. Il secondo è la sincerità di fondo, espressa soprattutto da attori che evidentemente conoscono la faccenda dell’attesa della grande proposta. Il terzo è naturalmente il teatrante Carlo Dapporto, il quale disegna finemente il ruolo di un capocomico vanesio e disperato, tanto convinto del proprio talento quanto malinconicamente rassegnato e sul viale del tramonto. Testimonial dei primi esperimenti televisivi, non si esimerà dal condannare la prostituzione dell’artista al servizio di un prodotto da sponsorizzare. Classico ruolo che vale una carriera, il Gardenio di Dapporto (che si presta anche ad una parodia del Monsieur Verdoux) regge sulle proprie spalle questo film, che altrimenti sarebbe un filmetto senza infamia e senza lode. Riuscita appare poi, la critica al nascente mondo della televisione (già sottoposto al dominio di sponsor invadenti e dirigenti politicanti), l’inquadratura di manifesti del P.C.I., velate allusioni sessuali e un personaggio principale, interpretato da Carlo Dapporto (vero mattatore dello spettacolo di rivista), che merita solo applausi  Una pellicola assai interessante (anche per gli accenni ai cambiamenti e alla mode di un tipo di spettacolo, che di lì a poco tirerà gli ultimi calcetti), e non un mero veicolo per l’astro della cantante Nilla Pizzi. Successo di pubblico confermato, questi sono gli anni in cui Dapporto, è uno degli attori più richiesti del cinema, e che porteranno la Ponti-De Laurentiis a fargli firmare un prestigioso contratto quinquennale. Spalle di Dapporto nel film, due talenti in erba del nostro cinema: Alberto Sordi e Sophia Loren.
  • Finalmente libero(1953). Processo per direttissima ad un poligamo (Carlo Dapporto) sposato a sei donne di diversa estrazione sociale. Attraverso l’interrogatorio all’accusato si ricostruiscono le vicende che portarono l’uomo a contrarre sei diversi matrimoni: nessuno dei quali davvero voluto, ma costretto da alterne sfortunate disavventure. Alla fine il presidente del tribunale condanna l’imputato a una lieve pena, ma è proprio in carcere che l’uomo si sentirà veramente libero. Una commedia degli equivoci, brillante e divertente, sorretta dalle freddure di Dapporto, alcune delle quali davvero spassose, e dalla sua interpretazione sempre a metà strada tra il serio e il comico. Lo spettatore infatti, partecipa alle sue disavventure frenetiche, quasi solidarizzando con lui e con tutte le scuse e i sotterfugi che l’attore usa per equilibrare i suoi innumerevoli matrimoni e le sue innumerevoli identità, in giro per lo stivale. Una commedia cucita addosso a Dapporto, tanto che si ha la sensazione che un ruolo così complesso nelle sue tematiche nevrotiche comico-psicologiche, nessuno lo avrebbe saputo rendere meglio dell’attore sanremese.
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    Immagine di scena tratta dal film “Il vedovo allegro”(1949). Un film che rivela le doti drammatiche di un Dapporto dalle tinte chiaro-scure, nel suo primo ruolo a tutto tondo della sua carriera.
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    La locandina originale del film “Finalmente libero”(1953), uno dei più divertenti della carriera di Carlo Dapporto.

    Domenico Palattella

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